La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Wu Ming 2 porta in scena Razza partigiana: “Solo chi non frequenta la strada pensa che il fascismo sia solo un pensiero”

condividi

“Siamo tutti profughi, senza fissa dimora nell’intrico del mondo. Respinti alla frontiera da un esercito di parole, cerchiamo una storia dove avere rifugio”. Sono le parole scritte nella prefazione di “Timira”, il testo di Wu Ming 2 e Antar Mohamed Marincola, dedicato alla famiglia Marincola. Giuseppe Marincola era un maresciallo italiano in Somalia che, dopo aver messo al mondo due figli con una donna somala, scelse di riconoscerli e portarli in Italia: Giorgio e Isabella. “Timira” racconta di Isabella, mentre lo spettacolo “Razza partigiana” che approda questa sera, 25 aprile, alle 21 al Teatro Superga di Nichelino parla di Giorgio: italiano “con la pelle scura”, partigiano nel viterbese, ucciso per mano dei tedeschi il 4 maggio 1945. Wu Ming 2 fa parte fin dalle origini del collettivo di scrittori che col nome “Luther Blissett” firmò il romanzo Q (Einaudi 1999) e a partire dal 2000 ribattezzato Wu Ming.

Partiamo dalle origini, la prima versione di Razza partigiana. Storia di Giorgio Marincola (1923-1945) è uscita nel 2008. Poi sono arrivati un reading, un altro libro. Come è nata per voi l’idea di raccontare la vicenda?

“Per me è nato tutto da un incontro in un luogo significativo, andavo a trovare un amico in clinica per disagio mentale, e lì c’era Antar Mohamed Marincola che faceva l’educatore. Un giorno mi contatta e dice ‘ho letto “Asce di guerra”, vorrei raccontarti la storia di mio zio’ (che è quella di Giorgio) e allora mi prendo il tempo per farmi raccontare la storia, che sembra quella di un pazzo. Anche se lui era un educatore, mi sono chiesto se fosse matto: perché la sua è la storia di un partigiano italo somalo, cresciuto in Italia, morto per mano nazista. Tutti gli ingredienti sono sbalorditivi. Antar è il figlio di Isabella, perché lei è tornata in Somalia, ha sposato un uomo somalo e da lui ha avuto Antar, nato nei primi anni Sessanta. Lui è poi tornato in Italia, si è dovuto mettere in fila per ottenere il permesso di soggiorno. È una storia intricata e speciale”.

La storia di Giorgio è speciale per la sua nascita ma anche e soprattutto per la sua partecipazione alla lotta partigiana in Italia. Chi va in scena nello spettacolo? Qual è il messaggio?

“Si tratta di uno spettacolo di cantastorie, ci sono io che declamo, recito testi con la musica come se fossero testi di una canzone e una band classica rock. Racconto tutta la storia di Giorgio, ma per farlo bisogna raccontarne anche tante altre e questa è l’innovazione del testo. Non possiamo capire Giorgio senza raccontare almeno in parte il colonialismo italiano in Somalia, cosa ci faceva un ufficiale italiano lì nel 1923, come mai è così strano che siano cresciuti in Italia i suoi figli, come mai molti non hanno riconosciuto i figli. Bisogna raccontare dell’antifascismo a Roma prima della resistenza, del professore che ha cambiato la vita a Giorgio. Perché Giorgio combatte a Roma, a Biella ma muore in Val di Fiemme e come faccia a essere morto 10 giorni dopo la festa della Liberazione! Muore in un’azione di guerra nazista il 4 maggio. Dopo che noi festeggiamo la Liberazione, il 25 aprile”.

A che punto siamo oggi su questo tema, sulla questione neofascismi?

“Bisogna continuare a parlare di questi temi perché il fascismo continua ad essere uno strumento, un pensiero che produce violenza, morti, che lascia sulla strada persone senza vita. Non è un’opinione di cui discutere perché è interessante, non è liberale e democratico discuterne dicendo ‘hanno il loro pensiero, ci confrontiamo in maniera aperta con il loro pensiero’, questo si traduce in maniera aperta con violenza e soprusi. Solo chi non frequenta la strada pensa che il fascismo sia un pensiero da contrastare con un altro pensiero, il fascismo usa lame e coltelli. Il fascismo è repressione dell’opinione altrui in maniera violenta”.

Come contrastarlo?

“Non concedere spazio nelle strade ai fascisti. No alle manifestazioni ufficiali, tutto questo viene scambiato per azione democratica ma finisce per far sentire più tutelati coloro che poi agiscono, invece, nell’illegalità del sostegno al fascismo. Le istituzioni dovrebbero dare loro il minor spazio possibile e contrastare quando i fascisti questo spazio se lo prendono. Molte associazioni che si riferiscono a fascismo si sono insinuate sotto mentite spoglie in molti settori che fanno simpatia e buon nome, come se facessero “social washing”, si occupano di cani abbandonati, di povertà, di animazione per bambini ma nascondono legami con neofascisti per infiltrarsi in zone meno sospette della società”.

Con la firma di Wu Ming 2 è uscito nel 2012 “Timira,” incentrato sulla figura della sorella di Giorgio, Isabella. Perché parlare di questa famiglia anche da un altro punto di vista?

 “La storia è così complessa e articolata che per capirla servono tante conoscenze e tanti saperi e punti di vista. Si prestava bene a essere raccontata e approfondita a pezzi. Quello sulla famiglia Marincola è un progetto transmediale, che attraverso diversi media e racconti mette insieme una storia più grande. Ci sono diversi punti di accesso alla storia e diversi modi di raccontarla. Ho conosciuto lei di persona, era più interessante proprio in quanto figura nascosta e forse ancora più significativa. Anche lei ha fatto resistenza, senza armi, senza fucile, senza compagni, spesso sola. È un contraltare importante rispetto alla storia di Giorgio”.

Resistenza, montagne, migranti. Temi ancora oggi al centro del dibattito: cosa succede nelle nostre montagne in questi giorni?

“In generale, tocca tornare in montagna. Nella Resistenza andare in montagna era sinonimo di ribellione. Il nostro Paese forse non può fare a meno di andare in montagna ogni tanto, spesso il conflitto si trova lì. Solo una visione edulcorata del monte può far pensare che qui politica e conflitti non ci siano, che la civiltà sia lontana: le montagne nel nostro paese sono luoghi di conflitto, spesso particolare. Spesso sono soggetti a strategie di abbandono, di qui passano i confini che oggi sono sempre più intesi non come luoghi di attraversamento ma luoghi dove costruire muri. La Resistenza ci insegna che per fare resistenza occorre conoscere il territorio, i partigiani avevano nel territorio il loro migliore alleato”.

Oggi cosa significa fare resistenza?

“Molte cose. Prima di tutto stare sui territori, conoscerli, comprenderne i conflitti. Capire da che parte stare della storia e in che modo stare dalla parte di chi da solo soccomberebbe. Agire un pensiero”.

Resistere a cosa e a chi?

“Una risposta secca generale è che bisogna fare resistenza a chi cerca di sfruttare le persone per profitto e tornaconto. Fa resistenza chi cerca di rendere questo paese accogliente per chi lo attraversa, per chi arriva, per chi migra passando da qui, resiste contro la diffidenza del ‘diverso’. Chi cerca di fermare l’aggressione al territorio, chi cerca di fermare la speculazione. L’eredità della resistenza oggi è molto vasta, non c’è solo un gruppo che la raccoglie e la porta avanti. Però manca la rete in maniera efficace, i tentativi spesso falliscono. Dobbiamo darci questo compito, ci manca il pezzo di insegnamento della Resistenza, che è quello di fare fronte comune, darsi una struttura e coordinarsi in maniera efficace. È la nostra sfida adesso”.

CAMILLA CUPELLI