Dal pipistrello all’uomo attraverso il pangolino. Sull’origine del virus SARS-CoV-2 molto deve essere ancora chiarito, ma le ipotesi su cui convergono i primi studi sono precise. Con un articolo pubblicato su Nature Medicine lo scorso 17 marzo, un gruppo di ricercatori guidato dall’immunologo Kristian G. Andersen ha smentito le teorie del complotto che sostenevano che il patogeno responsabile della presente emergenza globale fosse nato in laboratorio. Sono state invece consolidate le ipotesi di uno “spillover” dagli animali all’uomo: la pandemia di Covid-19 può essere scaturita dal “salto” di un patogeno da una specie a un’altra. Un fenomeno tutt’altro che nuovo, ma che questa volta ha avuto conseguenze più gravi rispetto al recente passato.
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In passato si sono verificati diversi casi di spillover o, in una visione antropocentrica, di “zoonosi”, ossia di trasmissione di agenti infettivi dagli animali all’uomo. Il virus della rabbia, Ebola, l’influenza A sono tra i più noti. Da Hiv, passato probabilmente da uno scimpanzé a un essere umano nel Camerun sudorientale, è scaturita una pandemia di Aids che a fine 2018 contava quasi 38 milioni di persone contagiate nel mondo. Le zoonosi scoperte negli ultimi anni però hanno più di una volta visto come protagonisti dei coronavirus. Nel 2012 in Arabia Saudita è stato riscontrato il primo caso di MERS, dieci anni prima da Guangdong, nella Cina meridionale, era partita la diffusione di SARS del virus SARS-CoV. Con questo patogeno sembra avere molte similarità il SARS-CoV-2, probabilmente contratto dall’uomo per la prima volta nel mercato di Huanan di Wuhan, nella provincia cinese dello Hubei, nel dicembre 2019.
In un passaggio del suo saggio Spillover, pubblicato nel 2012, il giornalista statunitense David Quammen, spesso citato e interpellato negli ultimi mesi, ha raccolto le opinioni di infettivologi ed epidemiologi sul “Next Big One”, la pandemia che avrebbe generato un’emergenza sanitaria globale. Secondo quanto riportava Quammen, nessuno dubitava che la pandemia sarebbe scaturita da una zoonosi e i coronavirus in particolare erano indicati come “serie minacce alla salute pubblica” e “virus con provata abilità di causare epidemie”. Nessuna profezia, semplicemente quello che è accaduto era un evento tutt’altro che improbabile.
Il caso e le cause dello spillover
Il SARS-CoV-2 è un virus a RNA a singolo filamento. Si tratta dei virus che mutano con maggiore frequenza e questo li rende imprevedibili, difficili da studiare e talvolta pericolosi per l’uomo. Per compiere un salto di specie i virus devono subire delle mutazioni. È il solo modo che hanno per adattarsi ai recettori cellulari, diversi fra l’uomo e le specie d’origine, e potersi replicare. Queste mutazioni “sono casuali, ma sottoposte a selezione naturale. Un processo deterministico, tutt’altro che casuale” spiega Marco Ferrari, giornalista e caposervizio scienza della rivista Focus. L’incremento delle occasioni di contatto tra uomo e animali selvatici, inoltre, accresce le possibilità che lo spillover si verifichi. Continua Ferrari: “La casualità in natura è sempre presente, abbiamo contatti con specie selvatiche da 300 mila anni e i virus hanno sempre avuto la possibilità di allargare la loro platea di specie a cui fare da parassiti. Lo spillover di virus sconosciuti è però favorito dalla nostra continua frequentazione di specie selvatiche. La frequenza degli incontri è determinante per l’efficacia del salto di specie dei virus”.
Trasmissibilità e virulenza sono gli aspetti dell’azione di un virus che fanno la differenza tra episodi sporadici e pandemie. Studiare quando, dove e come questi contagi abbiano inizio è fondamentale per chiarire la natura e il comportamento dei virus. “Il SARS-CoV-2 ormai ci ha assalito, ma probabilmente ci sono centinaia di altri coronavirus” afferma Ferrari. “Sapere da dove viene questo nuovo agente infettivo è utile per conoscere meglio le sue caratteristiche ed evitare di disturbare la fonte perché questa può essere portatrice di altri patogeni”. Alla fonte, con ogni probabilità, c’è una specie di microchirotteri. Piccoli pipistrelli.
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I pipistrelli sono riconosciuti come il serbatoio naturale di centinaia di virus. Parlare genericamente di pipistrelli o chirotteri è un’imprecisione necessaria: a quest’ordine appartiene circa un terzo delle specie di mammiferi. Il fatto che siano così numerosi, portati a vivere in colonie di migliaia se non milioni di individui e longevi (possono vivere anche 40 anni) li rende ideali per gli agenti patogeni, bisognosi di replicarsi. All’origine di SARS-CoV-2 si pensa che ci sia la specie Rhinolophus sinicus, più comunemente chiamato ferro di cavallo cinese. Il motivo per cui sono spesso associati alle zoonosi sembra avere anche ragioni fisiologiche: “Hanno un metabolismo molto alto e un sistema immunitario efficiente. La virulenza dei virus e l’efficacia del sistema immunitario dei pipistrelli hanno trovato un punto di equilibrio” spiega Ferrari. Nel caso dei coronavirus, questo equilibrio è dato probabilmente da un adattamento evolutivo avvenuto in milioni di anni di interazione. I pipistrelli mantengono così la circolazione dei coronavirus nell’ambiente e ne aumentano la variabilità genetica. Le possibilità che l’uomo entri in contatto con una specie di pipistrello ci sono, ma non sono elevatissime. Per questo e per le analisi dei genomi dei virus si suppone che ci sia stato un ospite intermedio e che questo possa essere il pangolino.
Il mammifero corazzato
Il pangolino cinese, Manis pentadactyla, è una delle poche specie di questo mammifero dotato di scaglie. Si nutre di insetti come termiti e formiche di cui rompe i nidi con le sue grosse unghie. I genomi dei coronavirus trovati nel pangolino cinese e nell’uomo sono simili. Naturalmente non identici per le mutazioni che avrebbero aperto al virus la possibilità dello spillover sulla nostra specie, ma assimilabili al 95-96 percento. “Una percentuale che comunque lascia aperti dei dubbi che possa essere stato il pangolino a fungere da ponte tra il pipistrello e l’uomo” dice Ferrari.
I contatti tra l’uomo e il pangolino sono però frequenti, soprattutto in Cina. È diventato infatti un cibo pregiato nei ristoranti e le sue scaglie sono utilizzate come rimedio dalla medicina tradizionale, anche se Ferrari chiarisce che “il potere medicinale delle scaglie del pangolino è pari a zero. Sono fatte di cheratina, la stessa proteina delle nostre unghie”. Tanto basta però per organizzare spedizioni a caccia di centinaia di pangolini. Poche specie, tutte a rischio estinzione, che se non fossero tanto “apprezzate” dai cinesi non avrebbero nemici in natura.
Lezioni da imparare
Ci sono insegnamenti che l’uomo deve trarre dalla pandemia di Covid-19? Per Ferrari “quest’ultimo episodio è particolarmente grave. Questo virus ha una letalità alta ma non altissima. SARS, MERS, Marburg, Ebola hanno una letalità più elevata. Questo genera focolai virulenti ma che non possono diffondersi più di tanto. Una letalità media per una malattia contagiosa è molto più pericolosa”.
La popolazione mondiale supera i 7 miliardi e mezzo e non è mai stata più invasiva di oggi sugli ecosistemi. La lezione più importante da imparare è che “pestare i piedi alla natura fa sempre male. Disturbare ecosistemi, prendere come cibo specie di animali selvatici può portare a quello che è successo”.