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Virginia Tilley: “Per la questione israelo-palestinese il paradigma è l’apartheid”

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“Sulla questione israelo-palestinese bisogna cambiare paradigma e passare da quello dell’occupazione a quello dell’apartheid”. È questa la tesi di Virginia Tilley, professoressa di scienze politiche alla Southern Illinois University e coautrice, insieme a Richard Falk, del rapporto Onu “Pratiche israeliane nei confronti del popolo palestinese e questione dell’Apartheid”. Stamattina, 11 marzo, la professoressa Tilley ha presentato la sua posizione al campus Luigi Einaudi, all’interno della terza edizione del ciclo di incontri “Il conflitto israelo-palestinese in chiave giuridica”, organizzato da Progetto Palestina e BDS Torino.

Il report ha una storia controversa. Pubblicato dalla Commissione economica e sociale per l’Asia Occidentale il 15 marzo 2107, nel giro di due giorni è stato cancellato, in seguito alle pressioni di Usa e Israele, perché accusato di pregiudizi nei confronti delle politiche israeliane. Questa vicenda ha anche portato alle dimissioni, in segno di protesta, di Rima Khalaf, segretaria esecutiva della Commissione che aveva richiesto il report.

Secondo Tilley, “l’Onu e i suoi stati membri affrontano il tema israelo-palestinese dalla prospettiva sbagliata, quella dell’occupazione”. Israele sarebbe l’occupante belligerante della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, ma i palestinesi hanno il diritto di autodeterminarsi, cioè di creare uno Stato in queste zone. L’occupazione è temporanea e Israele deve ritararsi al più presto dai territori. In modo da formare due stati separati, Israele e Palestina

Virginia Tilley ha mostrato come l’Onu abbia provato a muovere passi in questa direzione, con la risoluzione 181 del 1997, che aveva l’intenzione di creare uno Stato palestinese nei territori occupati, ma questo ha dato origine ad un paradosso, perché la Palestina può essere sostenibile solo con confini aperti, che permettano scambi tra Israele e Palestina, ma “Israele – continua Tilley – vuole confini chiusi e un controllo della politica che ricalca il Bandustan”, il modello di segregazione razziale che veniva usato in Sudafrica, con zone dichiarate autogovernate, ma di fatto dipendenti dal governo centrale.

Per questo, secondo la professoressa statunitense, “non ha più senso il paradigma dell’occupazione per parlare della questione israelo-palestinese, ma bisogna utilizzare quello dell’apartheid”, che lei studia dal 2009. Serve innanzi tutto una legislazione a livello internazionale dell’apartheid, che permetta di fermare quello che sta succedendo in Israele. Oggi le leggi israeliane assicurano la maggioranza ebraica e il dominio nazionale sui palestinesi, dichiarando esplicitamente che lo Stato è ebraico e non concedendo ai palestinesi all’interno del loro territorio i diritti umani e politici fondamentali.

“Cambiando il paradigma si cambia la prospettiva della questione”, ha detto infine Virginia Tilley, e si può affermare che il conflitto è iniziato nel 1917, con la dichiarazione Balfour. Israele è l’unica struttura statale che opera nella zona e deve democratizzarsi, i soggetti da considerare nella questione non sono più due Stati separati, ma uno solo, Israele, che governa una popolazione palestinese apolide. “L’origine del problema dunque – conclude Tilley – è prettamente giuridica e riguarda la legge e la dottrina israeliana, come entità statale ebraica, che favorisce una forma di apartheid”. Il diritto palestinese all’autodeterminazione può essere soddisfatto solo unificando la Palestina mandataria e Israele deve accettare gli oneri della sovranità e garantire diritti a tutti i cittadini.

A concludere l’evento il professore di diritto civile dell’Università di Torino, Ugo Mattei, secondo cui bisogna lottare affinché ci sia questo cambio di paradigma: “Deve nascere nel dibattito politico israeliano un movimento in grado di evidenziare che si tratta di una questione di apartheid”.

JACOPO TOMATIS

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