La crisi ambientale ha un problema di comunicabilità. Lo scrittore Jonathan Safran Foer, in Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Perché il clima siamo noi, spiega che la causa risiede nel fatto che il tema dei cambiamenti climatici “si scontra con una serie di pregiudizi cognitivi innati correlati all’apatia”.
“Anche se molte delle calamità che accompagnano i cambiamenti climatici […] sono vivide personali e fanno pensare a una situazione in via di peggioramento, nel loro complesso non danno questa sensazione”, aggiunge l’autore. Quello che Safran Foer dice, in sostanza, è che i disastri naturali, il riscaldamento globale e l’accumulo di rifiuti negli oceani vengono percepiti come lontani, nel tempo e nello spazio. Ed è proprio questa mancanza di vicinanza che ostacola la comunicabilità della crisi ambientale. Eppure, c’è uno strumento, nato inizialmente per far divertire le persone, che permette di comprendere profondamente i cambiamenti climatici: i videogiochi.
“Noi non siamo strutturati e ferrati nel fare gaming. I videogiochi, però, possono essere uno strumento importante, perché ti permettono un’esperienza immersiva”, racconta Nadia Lambiase, fondatrice e presidente di Mercato circolare, una start up torinese, che realizza progetti di formazione e consulenza con l’obiettivo di superare il modello dell’economia “usa e getta”.
“Bisogna stare attenti, però, o si rischia di far fare una bella esperienza, ma di trasmettere contenuti superficiali”, mette in guardia Lambiase. Il tema del cambiamento climatico, infatti, è difficile da trattare, perchè “è molto battuto”. Le persone pensano di sapere già tutto sull’argomento oppure, al contrario, sono stanche di sentirne parlare. Un’altro ostacolo, poi, è la complessità dell’argomento, che richiede “un approccio interdisciplinare”. E, come osserva Lambiase, “noi non siamo abituati a ragionare in termini crossmediali”.
Conoscere la crisi ambientale giocando
Marco Mazzaglia lavora nel settore del gaming dal 2008 a oggi Video Game Evangelist e Business Developer in Tiny Bull Studios e insegna al Politecnico di Torino “Game Design and gamification”. Racconta che i videogiochi sulla sostenibilità esistono da sempre e si sono evoluti nel tempo andando di pari passo con lo sviluppo delle tecnologie. Il processo di produzione di un videogioco che tratti un tema come quello della sostenibilità, è sostanzialmente lo stesso di un videogioco classico. Mazzaglia, come Nadia Lambiase, sostiene l’importanza di costruire dei giochi che vadano a indagare la profondità del tema. Per farlo è fondamentale l’aiuto di qualcuno che sia competente. “Il processo creativo ha bisogno di un esperto del contenuto che possa validare quelle che sono le meccaniche di gioco”, spiega.
In particolare, Mazzaglia cita “Fate of the world”, un gioco sul riscaldamento globale sviluppato e pubblicato da Redemption tra il 2009 e il 2011. Il videogioco, inizialmente a carte, nasce agli inizi degli anni Duemila dalla collaborazione tra l’Università di Oxford e la BBC. Sfrutta un algoritmo che permette di costruire scenari possibili del mondo in funzione di valori naturalmente esistenti. Il giocatore è a capo di un’organizzazione mondiale, simile all’Onu, e deve di volta in volta rispondere ai problemi posti dal gioco. Il primo scenario, ad esempio, chiede di alzare lo sviluppo umano degli stati dell’Africa oltre un certo livello.
“Il gioco è estremamente interessante, perché se viene preso nel modo classico e, ad esempio, si decide di usare anche in Africa l’approccio green a 360°, si perde immediatamente”, racconta Mazzaglia. “Accade, infatti, che i singoli paesi africani in via di sviluppo, interrompono il processo di crescita a causa di questo intervento, la popolazione insorge e si genera anche una serie di problemi sociali”, continua. L’approccio giusto per vincere, quindi, è “inserire il problema ecologico all’interno di un insieme di complessità che devono essere valutate”.
Il videogioco rende semplice qualcosa di estremamente complesso e ti permette, giocando, di comprendere a fondo la crisi ambientale. Mazzaglia lo ha sperimentato, trasformando Fate of the world da un gioco a single-player a multiplayer, su un gruppo di persone dai 40 anni in su e con una scarsa esperienza videoludica. Chi lo aveva invitato a svolgere l’attività, dopo mezz’ora dall’inizio del gioco, gli confessa che per la prima volta anche il gruppo di persone che solitamente era disinteressato a questo tipo di eventi, era completamente immerso nell’esperienza. Perché?
Accade, come spiega Mazzaglia, per il paradosso del controllo, che è una caratteristica del flow dell’esperienza ottimale. In pratica, se io fornisco una sfida che sia proporzionata alle abilità della persona e sia al tempo stesso ingaggiante, allora ho un coinvolgimento totale dell’essere umano. “In quello stato di coinvolgimento la persona impara, assorbe come una spugna qualsiasi tipo di concetto, qualsiasi tipo di idea. Perché si trova in uno stato di felicità e non sente la fatica”, racconta Mazzaglia. “Questo è il vero DNA del videogioco ed la chiave attraverso la quale il videogioco diventa un vero e proprio strumento formativo”, conclude.
Gyga, comprendere i valori della sostenibilità creando
Ma la crisi ambientale, non si impara solo giocando. I videogiochi possono essere uno strumento formativo anche nel processo di creazione. Gyga, sigla che corrisponde a Green young gaming ambassadors, è un progetto nato nell’ambito del bando “Wonder. Sperimentazioni nel design per l’innovazione sociale”, promosso dalla Fondazione Compagnia San Paolo, in collaborazione con Torino social impact e con il Circolo del design. Il bando aveva l’obiettivo di incoraggiare l’incontro tra le realtà del terzo settore attive sul territorio torinese e il mondo del design e di generare, dall’incontro di questi campi, servizi innovativi con un impatto sociale e ambientale. Gyga è stato progettato da Generativa! APS insieme a Bomberos Design e nasce da una domanda: il tema della sostenibilità ambientale è davvero parte del DNA della Generazione Z?
“La narrazione dominante dipinge i giovani della generazione Z come i nuovi salvatori del mondo, ed è in parte vero. Ma non si deve dare scontato che perché scendono in piazza, siano già sensibilizzati tutti – spiega Paolo Zammitti di Generativa! APS – . L’obiettivo era trovare uno strumento che coinvolgesse chi non è già sensibile”. Generativa! APS e Bomberos Design, in particolare, hanno pensato di farlo coinvolgendo un gruppo di ragazzi nella progettazione e poi nella creazione di un videogioco.
Come spiega Andrea Pinchi di Bomberos Design, “i videogiochi sono strumento ottimo. Innanzitutto perché sono un nuovo medium. Inoltre, sono ormai diventati dei veri e propri luoghi di aggregazione“. Alla fine, grazie all’entusiasmo dei ragazzi che hanno partecipato al gruppo di lavoro, Gyga ha sviluppato due videogiochi. “Escape from trash island” e “Green(war)washing” possono essere giocati su Roblox, una piattaforma di gioco online che, con l’aiuto di numerosi esperti di coding e gaming, è stata scelta perché “permetteva l’aggregazione di una community, soprattutto di giovani”. Pinchi precisa che il progetto ha visto anche la partecipazione di Legambiente Piemonte e Valle D’Aosta, che hanno, invece, formato i ragazzi sulla sostenibilità.
E, infatti, l’obiettivo di Gyga era creare un videogioco sulla sostenibilità e, contemporaneamente, coinvolgere nella progettazione persone non sensibili al tema ed educarle lungo la strada. Generativa! APS e Bomberos Design perciò non volevano creare un prodotto, ma creare un percorso di formazione. “I videogiochi che abbiamo prodotto hanno dei grossi limiti: sono stati sviluppati direttamente dai ragazzi e, ad esempio, sono pieni di bug”, dice Zammitti. “Quello che ci interessava era il processo”, conclude.