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Via libera all’app per il tracciamento, con tanti interrogativi

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Il primo passo è stato fatto. Ma sul modo in cui opererà la nuova app per il tracciamento dei contatti in funzione anti-contagio e su come sarà adottata dal governo c’è ancora poca chiarezza. Il commissario all’emergenza Covid-19, Domenico Arcuri, ha firmato nella tarda serata di ieri, 16 aprile, l’ordinanza che dà il via libera allo sviluppo della tecnologia proposta dalla azienda di software Bending Spoons, in collaborazione con il Centro medico Santagostino. L’app per il tracciamento dei contatti dovrebbe chiamarsi “Immuni” e sarà scaricabile in alcune regioni pilota probabilmente dai primi di maggio, in concomitanza con un allentamento delle misure di distanziamento sociale.

Che cosa si sa su come funziona
Al momento, non molto. Il codice sorgente dell’infrastruttura non è aperto, non ci sono ancora informazioni sulle caratteristiche tecniche del servizio. Trattandosi di un servizio adottato dalle istituzioni è auspicabile che il codice sorgente sia reso disponibile presto. In generale, l’architettura dovrebbe essere conforme alle linee del Pan-European Privacy-Preserving Proximity Tracing (Pepp-Pt) a cui il progetto scelto dal governo ha aderito. Il tracciamento dovrebbe funzionare tramite tecnologia bluetooth: due o più dispositivi su cui è stata scaricata l’applicazione si riconoscono se entrano in contatto a una distanza ravvicinata. Una lista salvata sugli stessi dispositivi tiene traccia, in forma anonima, di tutti i contatti individuati.
Nel momento in cui un cittadino dotato dell’applicazione risulta positivo al test per il Covid-19, l’operatore sanitario, in possesso di una seconda app (di cui però non si conoscono specifiche), dovrebbe fornire al paziente un codice con cui può caricare su un server la lista dei dispositivi tracciati.

Gli aspetti di funzionamento ancora da chiarire
A questo punto, secondo quanto riporta un articolo del Foglio, un algoritmo dovrebbe calcolare il rischio di esposizione al virus dei contatti sulla base di criteri di vicinanza fisica e temporale. Coloro che risulteranno a rischio riceveranno una notifica e saranno messi in allerta. Qui però si aprono interrogativi su come questa procedura dovrebbe svolgersi: i criteri di vicinanza fisica e temporale devono essere chiariti dalle autorità sanitarie. La notifica di rischio di infezione, inoltre, non può limitarsi a un invito all’autoisolamento, ma deve essere seguita da un iter che preveda tampone ed eventuale ospitalità di quarantena, nel caso in cui non si potesse garantire l’incolumità di possibili coinquilini.
L’app “Immuni” dovrebbe anche offrire una seconda funzione, un diario clinico su cui aggiornare l’evolversi del proprio stato di salute. Non è però chiaro se questi dati debbano essere forniti solo in caso di positività al test o se debbano dare informazioni sulla condizione dei cittadini, magari in forma aggregata.

L’opzione scartata dal governo
Nel caso in cui l’architettura della tecnologia di Bending Spoons non sia stata implementata rispetto a quanto reso noto dal Pepp-Pt, ci sarebbero poi due limiti di carattere generale: l’impossibilità di tracciare contatti ulteriori a quelli di primo livello e un difetto di trasmissione del bluetooth sull’iPhone. A questi problemi ha offerto delle soluzioni la tecnologia open source (con codice consultabile pubblicamente) proposta dal progetto Safe Together, fino a ieri in lizza per essere adottata dal governo. Al progetto collabora l’imprenditore e informatico Stefano Quintarelli, che commenta così la decisione finale: “L’unica certezza che abbiamo per ora è la valutazione finale della commissione. Al momento, con il codice dell’architettura di Bending Spoons non disponibile, non è possibile parlare di vantaggi dell’una o dell’altra tecnologia”. Sull’ipotesi di una prossima collaborazione con i promotori del progetto di Bending Spoons non sembrano esserci i presupposti: “Noi li avevamo avvicinati proponendo di unire gli sforzi, ma l’offerta è stata declinata. Non credo che possa nascere una collaborazione tra la nostra community e le loro aziende. In ogni caso il nostro codice è lì, aperto e disponibile”.

Un’ordinanza poco chiara
Sull’ordinanza firmata ieri dal commissario Arcuri, e in particolare sulla poca chiarezza riguardo all’acquisizione e alla disponibilità del codice sorgente della nuova tecnologia, solleva delle perplessità Giovanni Battista Gallus, avvocato studioso di protezione dei dati personali: “Nello spazio di poche righe si parla di licenza aperta, di acquisizione dei diritti e di licenza gratuita. Sono concetti molto diversi, espressioni antitetiche per la stessa condotta. Se si acquisisce la licenza il titolare mantiene i diritti. Se si acquisiscono i diritti non occorre una licenza. Per altro nelle raccomandazioni a livello europeo si è sottolineata l’importanza dell’utilizzo di sistemi aperti per consentire la massima fiducia da parte dei cittadini”. Gallus sottolinea come questo applicativo avrà una forte incidenza sui dati personali e il primo passo compiuto dall’ordinanza non vada nella direzione della trasparenza: “Ne sappiamo ancora troppo poco, ma mi auguro che si rispettino tutti gli standard sulla protezione dei dati da poco fissati dalla Commissione Europea e dallo European Data Protection Board (Edpb). Tenendo sempre presente che se l’app non è inserita in una strategia complessiva non serve a niente”.
Sullo sfondo dell’efficacia dell’app resta un’altra questione non da poco. Per l’Italia, ma forse per qualunque Paese europeo, non è banale il problema della copertura del sistema di tracciamento: per essere efficace si stima che dovrebbe essere adottata da almeno il 60% della popolazione. Una soglia che non è stata raggiunta nemmeno a Singapore, spesso citato come modello di prevenzione e contrasto al contagio da cui prendere esempio.

LUCA PARENA