Le finestre della caserma La Marmora guardano ancora immobili su via Asti, come se volessero trattenere il silenzio di ciò che fu. Ieri, 16 aprile, in quello stesso cortile, teatro di torture, interrogatori e fucilazioni, Torino ha commemorato i partigiani caduti per mano del regime nazifascista.
Nel luogo che tra il 1943 e il 1945 ospitò il quartier generale dell’Ufficio politico investigativo della Guardia nazionale repubblicana (Gnr) – uno dei centri nevralgici della repressione fascista in città – si è rinnovato il tributo a chi pagò con la vita la scelta di resistere.
Via Asti: un luogo simbolo della violenza nazifascista
Dopo l’8 settembre 1943, con l’occupazione tedesca e la nascita della Repubblica Sociale Italiana, la caserma di via Asti fu trasformata nel centro operativo della Gnr, incaricata di stroncare ogni forma di opposizione. Qui, sotto il comando del colonnello Giovanni Cabras – già attivo in Africa, in Spagna e nei Balcani – si consumarono alcune delle pagine più cupe della storia torinese: arresti arbitrari, pestaggi, torture, esecuzioni sommarie.
Boris Bellone, presidente torinese dell’Associazione nazionale dei perseguitati politici italiani antifascisti (A.n.p.p.i.a.), ha ricordato la figura di Cabras e le atrocità commesse dai suoi uomini. “Molti partigiani furono torturati a morte tra queste mura – ha detto – e altri finirono deportati in Germania o giustiziati come ostaggi. Le urla dei prigionieri riempivano le notti della caserma. I muri hanno assorbito tutto, anche quello che non è stato scritto nei processi”.
Una memoria che resiste
La cerimonia si è svolta alla presenza del Gonfalone della Città di Torino, decorato con la Medaglia d’Oro al Valor Militare, e delle principali istituzioni civili e regionali. A portare il saluto del Comune è stato il consigliere Luca Pidello, che ha sottolineato l’importanza del luogo e del ricordo: “Qui si concludevano le vite di chi aveva ancora una speranza collettiva. Chi moriva, moriva per un’idea di mondo migliore, che oggi noi dobbiamo continuare a coltivare”.
Il vicepresidente del Consiglio regionale, Domenico Ravetti, ha ribadito l’invito rivolto ai sindaci piemontesi ad aprire simbolicamente i municipi il 27 aprile, due giorni dopo l’80° anniversario della Liberazione: “Un gesto per affermare che la democrazia si costruisce dalle istituzioni locali e che quei valori sono ancora vivi”.
Alberto Preioni, sottosegretario alla Presidenza della Regione Piemonte, ha voluto esprimere un semplice ma sentito “grazie ai partigiani per aver difeso la libertà”.
La caserma La Marmora non fu solo un luogo di prigionia. Fu un crocevia di storie spezzate: giovani catturati nelle valli alpine, ebrei rastrellati per strada, militari che rifiutarono di combattere al fianco dei nazisti, dissidenti politici.
Molti venivano trasferiti da altri centri di detenzione cittadini – ce n’erano almeno 18 a Torino tra il ’43 e il ’45 – per essere “interrogati” qui. In pratica, torturati. Spesso, uccisi.
Tra questi, anche soldati italiani che si rifiutarono di aderire alla Repubblica Sociale, come ricordato da Bellone nel suo intervento: “Molti bersaglieri della caserma stessa rifiutarono l’arruolamento e finirono nei campi di prigionia. Lo diceva anche Bruno Segre, ripensando a queste stanze buie, a questi cortili senza scampo”.
Dopo la guerra, l’oblio
Il 28 aprile 1945, durante l’insurrezione, Cabras fuggì da Torino al comando di tremila fascisti. Fu catturato dagli Alleati a Ivrea, condannato a vent’anni per collaborazionismo, ma amnistiato nel 1947. Tornò libero, nella sua Sardegna. Come lui, molti altri responsabili di crimini di guerra vennero assolti o mai perseguiti.
Un’amara ferita, come ricordavano spesso Bruno Segre e Gastone Cottino, che nell’estate precedente alla loro scomparsa discutevano a Sampeyre, sulle montagne cuneesi della Resistenza, di quello che per loro fu un errore grave: l’amnistia concessa anche a personaggi indifendibili, colpevoli di crimini efferati, e il rientro in magistratura di giudici che avevano applicato le leggi razziali.
La memoria oggi
Oggi, la caserma di via Asti è un luogo della memoria che ogni anno, nel mese della Liberazione, torna a parlare. Lo fa attraverso le commemorazioni, attraverso chi ricorda, attraverso chi non smette di raccontare.
Come scrive Nico Ivaldi: “Nel libro Quelli di via Asti, dedicato alle vittime dimenticate della repressione nazifascista, Segre ribadisce che la memoria è un atto civile che impone di raccontare chi furono i carnefici, chi le vittime, e perché non possiamo permetterci di dimenticare”.




