Vent’anni di “Fortress Europe”, Savale: “Avevamo ragione, le persone seguono i movimenti di capitale”

2022, un nuovo Ordine Europeo / Guardie robot che pattugliano il confine / Cani cibernetici che si avvicinano, sempre di più

Keep banging on the wall of Fortress Europe / Continua a sbattere contro il muro della Fortezza Europa“. Era il 2003, e sul panorama musicale internazionale si affacciava l’ultimo album degli Asian Dub Foundation, Enemy of the Enemy. Il singolo di apertura, Fortress Europe, immaginava come sarebbe stata l’Europa del 2022 partendo dai sinistri segnali che lanciava il presente.

Abbiamo un diritto, conosci la situazione

Siamo i figli della globalizzazione

Niente confini, solo vera connessione

Accendi il fusibile dell’insurrezione

Questa generazione non ha nazione

Pressione dal basso è l’unica soluzione

Teniamo duro / Perché l’asilo è un diritto

Mettiamo fine a questa confusione

Questo è un Esodo del 21° secolo

Un gigante aperto alla conquista economica del mondo attraverso la scalata al ruolo di guida liberale del globalismo, impegnato a costruire il suo soft power per poter diventare finalmente quel modello di democrazia, di libertà e di tutela dei diritti sognato dai suoi padri fondatori. Una forza attrattiva di capitali e di nazioni intere, ma anche e soprattutto di persone. Milioni di individui che si spostano dalla parte bassa del mondo, quella più colpita dagli effetti perversi dell’espansione interconnessa del mondo globalizzato, a quella ricca, quella che più ha beneficiato della costruzione di tale sistema. E che incontrano un muro.

Il 2022 è arrivato, e l’Europa assomiglia in modo decisamente preoccupante alla Fortress Europa immaginata da Steven Chandra Savale e i suoi compagni.

L’Unione Europea si è espansa fino a includere, fra gli altri, Ungheria, Croazia, Romania e Bulgaria, costituendo un cordone senza soluzione di continuità che arriva fino in Grecia e avvolge completamente l’area balcanica, ancora fuori dalla confederazione. L’espansione non si limita, però, alla mera inclusione di nazioni nella grande famiglia europea. Le frontiere, elementi caricati di un significato di quasi totale anacronismo e insensatezza all’interno del blocco europeo, in questi decenni si sono trasformate e rafforzate nel loro ruolo di barriera fisica invalicabile per chi arriva dall’esterno, non importa chi tenti di varcarne il confine. Confine che non corrisponde, in molti casi, a quello formale e definito nei trattati: la delega a paesi terzi non facenti dell’Unione di pratiche che comprendono la sistematica violazione dei diritti umani, la cosiddetta “esternalizzazione” delle frontiere, è oggi largamente incorporata nell’approccio europeo nei confronti del fenomeno migratorio.

Uno dei maggiori snodi del flusso di esseri umani verso l’Europa è la Libia. Paese in guerra civile da più di dieci anni, è da tempo teatro di uno scontro che vede protagonisti diversi attori locali, regionali e internazionali. Elementi cruciali nella gestione dei movimenti di persone sono le centinaia di milizie armate che si contendono l’influenza nei territori nel Paese, e con essa il potere associato al traffico di droga, idrocarburi e, soprattutto, esseri umani. I lager in cui i migranti vengono detenuti, che si dividono tra campi governativi ufficiali e campi informali, sono ben noti alla stampa, ai gruppi di tutela dei diritti e ai governi internazionali. Uccisioni, stupri, torture, ricatti, violazioni dei diritti umani di ogni genere vengono perpetrate da coloro che avranno poi il compito di intercettare in mare le persone lasciate partire poco prima. Un cortocircuito che ha un nome preciso: Guardia Costiera Libica, un miscuglio di gruppi armati in guerra tra loro, cui viene appaltato il controllo delle partenze nonostante spesso siano gli stessi che gestiscono i campi di detenzione. L’Unione Europea, dal 2015, ha destinato circa 700 milioni di euro alla Libia per la gestione dei migranti. L’Italia contribuisce direttamente al finanziamento e all’addestramento della “Guardia Costiera Libica” dal 2017, dopo la stipula del memorandum di cooperazione siglato dall’allora governo Gentiloni. Il risultato è stato un crollo repentino degli arrivi da quel fronte: dai 181mila del 2016, passando per i 119mila del 2017, nel 2018 le persone giunte dal Mediterraneo centrale sono state appena 23mila. Quest’anno sono arrivate oltre 11mila persone; lo scorso anno sono state 67mila, mentre oltre 32mila sono state recuperate in mare e riportate in Libia. Unito alle politiche di contrasto all’azione delle Organizzazioni non governative (che hanno nel tempo colmato l’assenza delle istituzioni in mare) questo ha portato all’aumento vertiginoso della mortalità della rotta, che dal 2,41% del 2017 è passata al 5,61 nel 2018 e al 6,54 nel 2019. Il Mediterraneo è la frontiera più letale del mondo: dal 2014 risultano morte e disperse oltre 22mila persone. Quest’anno sono già 542, con i riportati in Libia dal mare che superano i 4mila.

Panoramica dei movimenti di persone nel Mediterraneo (Unhcr)

L’altro grande punto di ingresso in Europa è rappresentato dalla frontiera orientale, quella tra Grecia e Turchia. Per terra o per mare, nel 2022 sono arrivate finora 2800 persone. Erano state oltre 9mila lo scorso anno, niente a che vedere con il picco del 2015: oltre 860mila, quasi tutti via mare. Nel 2016 l’Unione Europea ha appaltato di fatto la gestione del fenomeno alla Turchia, attraverso un accordo da 6 miliardi di euro che ha determinato il quasi totale blocco dei flussi, nonché la possibilità di rimpatriare dai paesi Ue in Turchia i migranti riusciti a passare il confine. Anche qui, l’accordo ha comportato diversi problemi dal punto di vista del rispetto dei diritti umani, oltre ad investire il governo di Erdogan di un potere di ricatto pressoché assoluto: più volte l’uomo forte di Ankara ha minacciato (e attuato) un’apertura dei confini per spingere l’Unione ad aumentare i fondi.

Panoramica dei movimenti di persone verso la Grecia (Unhcr)

Parlando della Grecia si può iniziare a menzionare il ruolo attivo dell’Unione e dei suoi paesi membri nella violazione dei diritti umani. Nel corso degli anni è infatti emerso come oltre a delegare attori terzi l’Europa e i suoi paesi membri effettuino regolarmente respingimenti illegali, molto spesso violenti, di chi tenta di attraversare i confini. Le autorità greche picchiano, derubano e denudano i richiedenti asilo prima di respingerli, contro quanto prevede il diritto internazionale, in Turchia.

Panoramica dei movimenti di ingresso e dei respingimenti di persone nell’area balcanica (Unhcr)

Nel buco nero dei Balcani la situazione è drammatica: tra il 2020 e il 2021, nella sola regione di Vojvodina, nel nord della Serbia, sono state respinte oltre 46mila persone: 22mila dall’Ungheria, 20mila dalla Romania. Tra l’Ungheria e la Serbia c’è, da anni, un muro di filo spinato lungo l’intero confine. Assomiglia molto al muro cantato in Fortress Europe dagli Asian Dub Foundation: la maggioranza dei migranti, perlopiù siriani e afghani, viene respinta più volte. Lo stesso accade al confine tra Croazia e Bosnia-Erzegovina. A dimostrarlo, forse involontariamente, è l’agenzia europea Frontex, che ha registrato nel 2021 oltre 60mila attraversamenti illegali in Europa dai Balcani, nonostante alla fine di ottobre le persone transitate nell’area fossero state solo 26mila.

Proprio Frontex è finita negli scorsi giorni al centro di un’inchiesta di diverse testate internazionali che ha svelato come l’agenzia, che è quella meglio finanziata dell’Unione con un budget di 758 milioni di euro, sia direttamente coinvolta in almeno 957 respingimenti di migranti nel Mar Egeo tra marzo 2020 e settembre 2021. Le rivelazioni hanno costretto alle dimissioni il direttore di Frontex, Fabrice Leggeri. Fonti informali, inoltre, riportano come l’agenzia abbia ristabilito una presenza ai confini con l’area balcanica, ma non ci sono ancora conferme ufficiali.

La fotografia del 2022 non è molto diversa da come l’avevano cantata gli Asian Dub Foundation nel 2003. Fortress Europe nei suoi versi racconta bene le derive distopiche del mondo moderno. “La fantascienza può essere un segnale d’allarme, se non lo sai cogliere il rischio è che certe situazioni si avverino. Se dovessi predire il futuro ora non vedrei che disastri, ma potrebbe anche non evolvere così”, commenta Chandra. 

Frontiere e migrazioni sono temi che ritornano spesso nella discografia degli Asian. Parlando con Chandra abbiamo cercato di capire come si sono tradotti questi fenomeni nella contemporaneità. “Oggi, rispetto ai tempi di Fortress Europe la divisione è più sfaccettata. L’ascesa del capitalismo digitale ha cambiato tutto, il modo in cui ci relazioniamo, consumiamo, ed è anche il motivo per cui il sistema politico è così instabile”, spiega il chitarrista. 

Abbiamo chiesto a Chandra di guardare avanti, di pensare al mondo dei prossimi vent’anni. Un po’ come aveva fatto con Fortress Europe nel 2003, per capire insieme quali potrebbero essere le prospettive e i rischi del futuro. Lo scorcio offerto da Chandra non è ottimista, prima di guardare il mondo vent’anni più avanti è necessario capire se ci arriveremo e il conflitto in Ucraina, per il chitarrista degli Asian, rappresenta un rischio reale. “È molto difficile da dire, la base geopolitica del mondo si sta spostando velocemente e radicalmente. Mi piacerebbe vedere come usciamo dal conflitto ucraino. Potremmo non riuscirci, potremmo essere morti tutti presto”. 

Gli Asian Dub intanto stanno scrivendo un nuovo album, un lavoro che guarda alle nuove sonorità del panorama musicale inglese. Dopo due anni di stop dettati dalla pandemia stanno emergendo nuovi filoni che gli Asian hanno intenzione di assorbire. “Abbiamo la capacità di prendere i nuovi spunti e renderli nostri, siamo in un momento creativo eccitante, la musica è cambiata molto e questi cambiamenti si rifletteranno nel nostro prossimo lavoro”, spiega Chandra che non esclude un tour in Italia, “ora non è in programma, ma veniamo regolarmente a suonare dal ‘97, quindi è una possibilità”.