“La contraffazione non è solo un problema degli addetti ai lavori, è un problema di tutti. Perché il patrimonio culturale è nostro, è di tutti”. È questo il messaggio che il colonnello Alberto Deregibus, vice comandante del reparto Tutela patrimonio culturale dei Carabinieri consegna alla platea della conferenza “L’arte non vera non può essere arte”. È stata l’occasione per i militare dell’Arma di raccontare come avviene, giorno per giorno, la lotta contro la contraffazione delle opere d’arte. Quello che farà però in futuro la differenza nella lotta al fenomeno, spiegano i Carabinieri, sarà il coinvolgimento del pubblico: sia in senso preventivo, sia in fatto di ricerca e identificazione dei beni scomparsi.
Basterà infatti un click sull’app iTpc (Android/iOS), per verificare se un’opera sia contraffatta o alterata in qualche modo.
L’applicazione renderà possibile l’accesso a una parte della Banca dati dei beni illecitamente sottratti, la raccolta di tutti gli elementi a disposizione del reparto Tutela del patrimonio culturale dei Carabinieri. Si tratta del più grande archivio in questo ambito, anche sul piano internazionale: più di otto milioni di dati, di cui oltre un milione di beni da ricercare. Il secondo Paese per impegno sul fronte della lotta alla contraffazione, tanto per avere un termine di paragone, è la Francia, che si ferma a una banca dati che copre 94mila elementi.
Negli ultimi anni si registra un trend di crescita nella lotta alla contraffazione, con ben 779 opere sequestrate solo nel 2016, per un valore di 57 milioni di euro.
“L’azione dei Carabinieri rimane concentrata su un approccio su più livelli. La falsificazione si articola in più azioni. Oltre alla contraffazione, c’è anche alterazione di un’opera, riproduzione e certificazione di un falso”, spiega il tenente colonnello Silvio Mele, comandante del nucleo di Torino. “L’elemento distintivo rimane il dolo – continua il tenente – bisogna certificare che chi ha autenticato abbia agito con malvagità, sapendo che l’oggetto fosse un falso, anche senza un profitto personale”.
“È l’arte moderna l’ambito più falsificato”, spiega Mele. Il motivo: la redditività, in un settore che dopo la crisi in fatto di prezzi ha ripreso il volo. Ma il problema è anche un altro: “È il mercato che determina i costi delle opere e fa la differenza: si arriva addirittura a sconfessare l’attribuzione delle opere”. Ci si può trovare perciò in situazioni paradossali in cui la circolazione di un’opera rappresenta essa stessa la legittimazione della sua autenticità.
In altri casi però il problema, invece, è la poca competenza degli acquirenti, che senza essere esperti si ritrovano ad acquistare falsi, proprio perché il prezzo sembra troppo attraente per un “vero” per rinunciare: “spesso ci si accosta all’arte solo per fini speculativi”, continua Mele.
Insomma, una questione che resta alto nella lista delle priorità di Arma, ma anche del Parlamento: è infatti terminato a fine ottobre l’esame in commissione Giustizia al Senato di un disegno di legge che vuol fornire nuovi mezzi alla lotta contro questo problema. Che però non può essere risolto senza la collaborazione dei cittadini.