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Un giardino per le sei donne vittime della Shoah

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Porre una targa a memoria delle vittime e intitolare il giardino di via Ghedini a una delle sei donne ebree vittime della persecuzione nazista. È la proposta di Nadia Conticelli e Alice Ravinale, rispettivamente capigruppo del Partito Democratico e di Sinistra Ecologista del comune di Torino. Un’idea che arriva ottant’anni dopo il 3 dicembre 1943, quando la polizia fascista si presentò nell’ospizio di via Como 140, presso la Casa comunale dell’ospitalità fascista, per portare via, con una retata, venti donne ebree, di età compresa tra i 65 e gli 85 anni. Tutte furono recluse nel carcere “Le Nuove” di Torino, in quanto appartenenti alla “razza ebraica”. “Un’episodio poco noto e per lungo tempo avvolto dall’oblio”, spiega il giornalista Claudio Mercandino, della sezione Anpi “Renato Martorelli”.

Una vicenda a due atti. Prima l’arresto da parte delle autorità fascista, in esecuzione all’ordine di Polizia n°5 del ministro Guido Buffarini Guidi, poi il rilascio, grazie a una circolare del capo della polizia Tullio Tamburini, che sospendeva l’ordinanza precedente per le persone gravemente malate o ultrasettantenni. “Il secondo atto ha luogo all’inizio di marzo del 1944 – prosegue Marcandino – quando i nazifascisti tornarono qui e presero in blocco tutti gli ebrei presenti. Sei di queste donne finirono nei lager, altre morirono di stenti e malattia, altre ancora riuscirono a salvarsi”. Teresita Teglio, Sara Colombo, Rosa Vita (Finzi), Ercolina Levi, Eugenia Treves e Aida Sara Montagnana non tornarono mai più a casa.

“Si ricordano delle donne, ebree, anziane: particolari categorie di persone particolarmente fragili”, spiega Susanna Maruffi, presidente dell’Aned di Torino. “La memoria è più che mai attuale ora, periodo in cui si assiste a rigurgiti di antisemitismo, che sono piuttosto preoccupanti”.

Una memoria che deve però per forza passare attraverso il dialogo tra gruppi etnici diversi e con le giovani generazioni. “Una targa come monito del futuro”, dice Dario Disegni, presidente della Comunità ebraica di Torino. “Questo è un luogo di dolore, ma anche un luogo vivo. Portare la memoria qua è utile alle giovani generazioni, per condividere con loro la conoscenza”. “L’antisemitismo è risorgente – conclude -. Bisogna cercare di combattere contro la banalizzazione e la distorsione della Shoah”.

“Riteniamo che recuperare questa pagina di storia oggi acquisti un grande valore, sia come contrasto al pericolo di antisemitismo, che resta sempre in agguato, sia come restituzione della storia delle donne alla dignità della memoria collettiva. Per questo abbiamo depositato una proposta in Commissione toponomastica per la posa di una targa nei giardini di via Ghedini alla memoria di quelle donne e alle sofferenze che sono state loro inflitte dal regime fascista”, hanno fatto sapere invece Conticelli e Ravinale.

La vicenda delle donne di via Como è stata riscoperta recentemente grazie al lavoro della sezione Anpi “Renato Martorelli” e dello storico Nicola Adduci, ma è tuttora poco nota, pur rappresentando una delle peggiori retate avvenute nel corso della Seconda guerra mondiale a Torino.