Ucraina, chi è rimasto: “Andare via sarebbe come lasciare un malato indietro”

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“Vai in Ucraina a portare aiuti umanitari, ti si sgonfia una ruota e proprio quelle persone che eri andato ad assistere passano il pomeriggio con te e ti fanno sentire a casa” racconta Carolina Pressi, volontaria di Acmos che ha scelto di trascorrere l’anniversario del conflitto proprio vicino al fronte meridionale dell’Ucraina. Ieri Carolina è rimasta bloccata in mezzo al nulla per quattro ore, perché il furgone dei volontari aveva una ruota bucata. “A Kherson ci sono un centinaio di persone”. Tra chi è rimasto, racconta, c’è un forte senso di solidarietà. Si creano reti di contatto umanitarie, si cercano modi per aiutarsi a vicenda.

Eppure, dopo un anno, c’è chi ha preferito tornare a casa. “Andare via sarebbe come lasciare un malato indietro, come abbandonare qualcuno che ha bisogno” ha spiegato una famiglia ai volontari. Altri ancora preferiscono il suono delle sirene alla vita da profughi. Ma a Kherson e a Mykolayiv, nell’Ucraina del sud, sono rimasti in pochi. Chi ha potuto è andato via. “Quello che resta è desolazione e povertà”, commenta Carolina.

L’accoglienza in Piemonte

In Piemonte sono più di 11mila i rifugiati ucraini accolti dall’inizio della guerra. Nella città di Torino, 3700 persone. La stragrande maggioranza dei profughi arriva in nuclei monoparentali, ovvero donne con bambini. Otto persone su dieci sono di sesso femminile. La maggior parte giovanissime, tra i 30 e i 39 anni. 

Di questi 3mila rifugiati accolti a Torino non è possibile sapere quanti siano rimasti sul territorio e quanti siano andati via, alla volta di altri Paesi europei o per tornare a casa. Nove persone su dieci, infatti, si sono appoggiate a conoscenti o amici. Secondo i dati, i profughi ucraini hanno una rete di conoscenti e connazionali piuttosto solida in Piemonte. Spesso si sono rivolti ai centri di asilo per un periodo di tempo limitato – lo stretto necessario per usufruire dei servizi di prima accoglienza – per poi raggiungere parenti o punti di appoggio privati. C’è stata dunque poca richiesta anche intorno alle attività correlate che queste strutture offrono (integrazione sul territorio e ricerca di un impiego).

Protezione internazionale

È impossibile sapere con esattezza quanti rifugiati ucraini sono in Piemonte in questo momento. Una direttiva europea ha stabilito che chi scappa dalla guerra in Ucraina può muoversi liberamente nell’area Shenghen. Le persone vengono quindi censite solo al momento dell’arrivo sul territorio italiano, dopodiché per legge non vengono monitorati gli spostamenti successivi. «Noi abbiamo una percezione aneddotica – spiega Dario Arrigotti, console onorario dell’Ucraina – sappiamo che alcune persone hanno chiesto aiuto per tornare a casa, ma non li abbiamo censiti e le informazioni non sono complete».

Dal sito della Protezione civile

Il tandem Acmos – Città metropolitana

Carolina insieme ad altre quattro volontarie è partita una settimana fa alla volta di Mykolayv, nel sud dell’Ucraina vicino a Kherson. “Un luogo che ha bisogno di aiuti umanitari. Noi andiamo a portare vicinanza alle persone e a fornire aiuti concreti – racconta Carolina – chiunque voglia può partecipare e partire con noi”. Nello specifico, le volontarie smistano pacchi alimentari da distribuire alle poche persone rimaste, insieme a beni di prima necessità. L’impegno sul campo porta con sé il nome della Città metropolitana di Torino, che ha messo a disposizione dei volontari un furgone per raggiungere l’Ucraina. “I russi hanno subito colpito le amministrazioni dei comuni, quando è iniziata la guerra” dichiara Jacopo Suppo, vicepresidente della Città metropolitana. “Noi vogliamo che da qui parta una rete di solidarietà tra i sindaci”. E aggiunge: “Non escludiamo di poter venire anche noi fisicamente in quei luoghi”.

Un progetto che non si ferma qui. Il piano è quello di far partire una volta al mese i ragazzi volontari, in piccoli gruppi. Una settimana di servizio per un viaggio complessivo di dieci giorni. “Essere qui è un riavvicinarsi alla propria umanità e a quella degli altri – dice Carolina – è un modo per sperimentare davvero cosa significa la parola comunità e mettere alla prova il proprio privilegio”.

Le volontarie di Acmos a Vysuns’k, ospitate da Julia e la sua famiglia