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Ucraina, Capannini: “La Siria non ci ha insegnato nulla. L’Europa è di nuovo impreparata”

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Ogni giorno di più, sembra che la guerra si combatta su due fronti distinti. Quello alto, istituzionale, dove gli Stati, la Nato, l’Unione Europea si muovono a passi lenti e cauti, intrappolati in un impasse dal quale non è ancora chiaro come potranno tirarsi fuori senza calpestare una mina. E poi, più in basso, c’è quello in cui si agita una moltitudine di gente, pronta a partire da qualsiasi parte del mondo, accogliere, aiutare come può. “Stamattina mi ha contattato un ragazzo, dicendomi che dovremmo formare una catena con tutte le persone che si oppongono alla guerra e circondare la città di Kiev. In molti sono pronti persino a rischiare la vita”. A raccontarlo è Alberto Capannini dell’Operazione Colomba, il Corpo Nonviolento di Pace dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. È da poco rientrato da Leopoli (L’viv), dove decine di associazioni come la sua stanno tentando di fornire i primi aiuti necessari ai profughi diretti verso il confine. “Da quando Kiev è sotto assedio, Leopoli è divenata la nuova capitale, ma quello che resta della città è solo una folla di gente in fuga. La stazione è impressionante, un accampamento a cielo aperto. Ogni villaggio ha un suo posto blocco, sorvegliato da cittadini armati di molotov e fucili da caccia”.

Il richiamo alla leva di tutti gli uomini dai 18 ai 60 anni impedisce loro di lasciare il Paese. Verso il confine, quindi, si muovono solo donne, bambini e stranieri. “Credo sia anche uno dei motivi per cui gli stranieri vengono fortemente discriminati in Ucraina. Perché si pensa che tutti quelli che erano andati lì a studiare o lavorare se ne vadano proprio nel momento del bisogno.”

Il progetto dell’associazione, adesso, è di attivare un corridoio umanitario, appoggiandosi alle migliaia di persone che hanno dato disponibilità per l’accoglienza dei profughi in Italia. Ma per Capannini, che aveva già vissuto la stessa crisi in Siria, si tratta di un identico ritorno degli eventi, che, come tale, poteva essere prevenuto, se non quantomeno previsto. “La politica estera di Putin non è una novità, non possiamo continuare a dimenticarcene e fingere di non comprendere quello che accade. In Siria avevamo già visto fare alla Russia le stesse cose, quando bombardava i civili e ignorava il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.” Le cause del conflitto sarebbero, quindi, da rintracciare oltre i confini della sola Federazione, tra quei governi che potevano prevedere gli esiti di un’offensiva che prosegue da anni. “Proprio il nostro Ministero degli Esteri aveva iniziato a normalizzare i rapporti con la Siria e decretare la vittoria di Bashar Al-Assad. Non si può guardare alle guerre come eventi senza colpevoli, che accadono per leggi naturali.” Non solo le azioni preventive, anche la risposta internazionale all’offensiva russa sembra immensamente inadeguata e molto simile a quanto già avvenuto negli scorsi anni. “La posizione attendista dell’Europa, che ancora spera nei negoziati, è estremamente preoccupante. In Siria i colloqui erano stati utilizzati dalla Russia come strumento per impegnare la classe politica, mentre loro si prendevano tutto il Paese. Di negoziato in negoziato si prenderanno anche l’Ucraina.” Il milione e mezzo di profughi di questa guerra, numero destinato ad aumentare, contribuirà, inoltre, secondo Capannini, a spostare gli equilibri. “La Russia sa molto bene che per distruggere l’Unione Europea basta mandare qualche milione di profughi. Quelli siriani sono la casa della crisi che è sfociata poi nella Brexit; con l’arrivo di questi si può immaginare un’Europa che dei suoi valori di libertà e accoglienza farà carta straccia e andrà spostandosi sempre più verso destra.”

E poi, ancora una volta, c’è un Paese che chiede armi per uscire dal conflitto. Ma, per quanto il rifornimento di armamenti dall’estero sia costante, il confronto con l’equipaggiamento russo è estremamente squilibrato. “Si tratta del secondo esercito più grande al mondo, che ha sperimentato 280 nuovi sistemi d’arma negli 8 anni in cui è stato presente nella guerra in Siria, dove si è formato l’85% degli ufficiali che sta combattendo. Io non ho mai visto le armi risolvere qualcosa. Vogliamo dare dei fucili all’Ucraina? Non faremo altro che mandarli a morire con dignità.”

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