RegeniLeaks va offline, ma ora il giornalismo italiano ha una nuova frontiera

All’Espresso ha regalato articoli e copertine, portando a tratti il lavoro d’inchiesta in una posizione avanzata rispetto a quello della magistratura. È la piattaforma di whistleblowing Regenileaks, primo esperimento del genere nel panorama italiano, a cui l’International Journalism Fest di Perugia ha dedicato un panel in omaggio ai risultati ottenuti. Come lo scoop sul figlio di Al Sisi, Mahmoud, e del suo ruolo al vertice dei servizi segreti egiziani. “Questa è frontiera del giornalismo nell’epoca tecnologica”, spiega Raffaele Angius, ideatore del progetto e giornalista di Futura News, “che tuttavia non cambia le dinamiche fondamentali della professione: i leaks sono il miglior modo di fare giornalismo tradizionale, alla base di tutto, infatti, c’è il rapporto con la fonte”. Oltre ad Angius sono intervenuti gli altri curatori di Regenileaks: Lirio Abbate, caporedattore inchieste dell’Espresso, Marco Pratellesi, condirettore di Agi e il giornalita e blogger di origine marocchina Brahim Maarad.

Cos’è il whistleblowing (una parola intraducibile in italiano)? “Chiunque capisca che esiste un problema e rilascia informazioni”, risponde Angius, che ha concepito e realizzato l’idea di RegeniLeaks. La sfida della sicurezza è stata particolarmente complessa da gestire in un Paese, l’Egitto, che controlla i canali di comunicazione virtuali. “Il primo passo è stato far capire il reciproco vantaggio. Agli egiziani è stata data la possibilità di aprire una porta sulla libertà di espressione“. Per accedere alla schermata delle informazioni, dove avevano la possibilità di caricare prove audio e video, i whistleblower dovevano prima compilare un questionario di poche e vaghe informazioni. Quindi si poneva, per il team di RegeniLeaks, la sfida della verifica dei fatti, affrontata attraverso un dialogo virtuale e anonimo tra la fonte e il team dell’Espresso, per la fase del lavoro di approfondimento.

“L’idea ci venne più di un anno fa” – racconta Abbate. “La situazione egiziana descriveva un regime repressivo e antidemocratico, dove avvenivano – e avvengono tutt’ora – molti rapimenti. La piattaforma era lo strumento migliore per offrire agli egiziani la possibilità di contribuire a far luce sulla morte di Giulio.”  L’Espresso è un unicum. Nessun giornale italiano è dotato di una tecnologia così avanzata e sicura. Questo modo di agire ha permesso di fare inchieste utilizzando dati propri, non quelli delle procure o degli investigatori. Anzi, si è creata una situazione tale che sono gli stessi magistrati a richiederli. Oggi l’informazione si fa grazie a strumenti del genere. Tuttavia, in quest’avventura non sono mancati gli ostacoli. Pratellesi spiega che “il problema principale era comunicare col mondo arabo, tradurre i documenti e le informazioni che arrivavano. Un’altra questione era: come far viaggiare i documenti sulla nostra piattaforma in sicurezza? L’unico modo era portare con me due vecchi computer agli incontri con Brahim e consegnarglieli fisicamente. Il tutto veniva fatto anche per garantire l’anonimato delle fonti. “Spesso se ne parla solo con un accezione negativa – ribadisce Pratellesi –  ma in determinati contesti, come quello egiziano, diventa una salvaguardia. Ricordiamo che l‘anonimato è un diritto fondamentale di internet“. Tanto lavoro ma anche tante soddisfazioni. “Le nostre notizie sono state riprese da molte testate, persino da Al Jazeera. E sappiamo bene quest’ultima che peso abbia nel mondo arabo” ha detto orgoglioso Maarad. “Con RegeniLeaks abbiamo intercettato il bisogno, soprattutto tra i giovani, di accedere alle informazioni. Gli abbiamo garantito che i loro racconti – quelli attendibili e verificati – sarebbero stati pubblicati. Cosa che non sarebbe accaduta se si fossero rivolti a giornalisti egiziani”.

Giulio è solo uno dei mille Regeni d’Egitto. Il lavoro della piattaforma è concluso ma, in futuro, ne sentirete ancora parlare.

GIUSEPPE GIORDANO e PASQUALE MASSIMO