Il suo paio di sci “stagionatissimi” in legno, una pietra di fiume incisa con parole dedicate ai suoi amici Nuto Revelli e Mario Rigoni Stern, dozzine di fotografie di scalate per le Grigne o sulle Cinque Torri immerso nelle Dolomiti. Non mancano il suo brevetto di Partigiano dalla stampa ancora nitida e una foto che lo immortala al rifugio Regina Margherita sul Monte Rosa, datata 1960. La mostra “Le ossa della Terra. Primo Levi e la montagna”, accolta dal Museo Nazionale della Montagna di Torino (al suo 150esimo anno di vita), celebra il rapporto fra lo scrittore testimone diretto della Shoah e l’ambiente montano. E da venerdì 26 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria, apre le porte al pubblico fino al prossimo 13 ottobre.
Sotto la cura di Guido Vaglio e Roberta Mori, oltre alla collaborazione con il Centro Internazionale di Studi Primo Levi torinese, l’esposizione pennella un interesse particolare, talvolta nascosto, dell’autore di “Se questo è un uomo” con la montagna. “Eravamo fanatici della montagna”, confessò a Giovanni Tesio nel 1987. Grazie a fotografie, manoscritti, documenti ed estratti video questo fanatismo si può ripercorrere in modo limpido, genuino.
Le testimonianze intrecciano la sua esistenza a filoni tematici ben definiti. Dagli anni della gioventù, marcati da un intenso desiderio di scoprire la vastità della natura, passando agli approfondimenti dei suoi studi universitari in chimica. Fino alla deportazione ad Auschwitz, laddove è riuscito a sopravvivere nel lager grazie anche all’allenamento alpinistico che gli ha permesso di sopportare il freddo, oltre a resistere “al disagio e alla fatica senza ammalarmi”.
Montagna che trova sfaccettature etimologiche differenti. Tanto in senso naturale quanto con declinazioni trasgressive come nell’assaggio di carne di orso o disobbedire alla guida Cai. Ma è nell’amicizia e nella scelta di schierarsi che Levi ha trovato riparo, talvolta più in senso figurato che metaforico. Lo dimostrano la dedica ai “due fratelli” Revelli e Rigoni Stern (“nati all’ombra delle montagne”), le scalate avventurose con l’amico fraterno Alessandro Delmastro e la formazione antifascista condivisa con Vanda Maestro.
Ci sono poi due parentesi, “Le cronache di Milano” e “I libri segreti” dell’archivio di Massimo Gentili-Tedeschi, che spacchettano un Primo Levi a Milano nel 1942, ospite dalla cugina Ada Della Torre. Gite sulle montagne lombarde, discussioni politiche e culturali con altri sei torinesi trovano respiro in caricature, filastrocche e vignette. Una miscela di leggerezza, ironia e coscienza della tragicità del periodo.
Al di là delle amicizie profonde, le escursioni in montagna hanno significato per lui anche sfide con sé stesso, rivendicazione di libertà, privazioni. E arriva poi lo spartiacque dell’8 settembre 1943. Da allora “andare in montagna” cominciò ad avere un significato in più: aderire alla lotta partigiana. Solo due mesi dopo, precisamente il 13 dicembre ad Amay, in Valle d’Aosta, venne arrestato con altri partigiani della banda di Giustizia e Libertà. Proprio in quel posto abbandonò quegli scii legnacei prodotti dalla Ditta Fratelli Vianzone di Torino. Lascito che si rivelò poi essenziale per il partigiano Yves Francisco per fuggire in Svizzera. Solo alla fine della guerra, li riporterà dove li aveva trovati.
“Abbiamo coltivato a lungo l’idea di costruire un progetto corale – dicono Mario Montalcini e Daniela Berta, presidente e direttrice del Museo Nazionale della Montagna – dedicato alla figura di Primo Levi secondo un punto di vista che potesse aprire a nuove significative riflessioni sulla sua straordinaria figura, su quel tempo e sul nostro”. Per Fabio Levi, presidente del Centro Studi Primo Levi è una mostra che “aiuterà a conoscere meglio il museo, Primo Levi e a sottolineare questo rapporto che coltivava con le montagne intorno a Torino. Si tratta di un’iniziativa inserita in un ricco programma che vedrà a febbraio un terzo dialogo sulla relazione assidua tra Primo Levi e il mondo scolastico e un’altra mostra a Palazzo Madama da gennaio 2025 sui carteggi che intrattenne dagli anni Cinquanta agli anni Settanta con interlocutori tedeschi di grande spicco sul tema della Shoah”.
La mostra sarà aperta al pubblico da martedì a venerdì dalle 10,30 alle 18, sabato e domenica dalle 10 alle 18. Per ulteriori informazioni consultare www.museomontagna.org.