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Porta Palazzo si risveglia in un timelapse

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di Raffaele Angius – timelapse di Raffaele AngiusLisa Di Giuseppe, Giorgia Gariboldi, Pasquale Massimo

Sono le cinque e mezzo del mattino di un qualsiasi giorno della settimana. Torino dorme profondamente con le finestre chiuse per il freddo invernale. I primi mezzi del servizio pubblico iniziano i loro tragitti con pochi passeggeri e i vetri sono appannati. In quel lento scorrere, solo un piccolo punto, cuore pulsante di una città vitale, si rianima prima del resto.

Porta Palazzo, il più grande mercato a cielo aperto d’Europa, inizia a respirare sotto i tendoni, tra le cassette della frutta e i camion che scaricano le loro merci. Spesso chi lo visita lo definisce come un luogo che disorienta. Camminare per le viuzze di carretti e di teli può risultare claustrofobico. Quando si viene a Porta Palazzo in genere si ha la mente rivolta più alla lista della spesa che al fascino della scenografia, delimitata dai monticelli di patate e dai cespugli di aromi. La sinfonia di lingue e dialetti non aiuta e anzi può confondere gli esploratori di questo caravanserraglio “d’apostrofi e di sacrati, che si confondono tutti insieme in un mormorìo sordo e diffuso”, come scriveva Edmondo De Amicis. Nessuno è immigrato a Porta Palazzo, zona franca del Nord-Ovest, dove tutti hanno quel quadrato torinese come nazionalità. E così marocchini, napoletani, pakistani, cinesi o sardi si avvicendano, con ritmi spontanei, dettati dalla natura delle cose e dall’armonia che è propria della prossimità e della convivenza.

Porta Palazzo è una trappola di colori e profumi, un labirinto. E proprio come nei labirinti, anche qui sarà necessario raggiungere il punto più alto per eludere il dedalo e averne una visione d’insieme. Si deve barare per afferrare l’ineffabile e assistere al risveglio di questa città senza patria. Con lo sguardo rivolto verso Est e i camion che portano il pesce da Chioggia o Porto Garibaldi, l’unica significativa fonte di luce è la Tettoia dell’Orologio, che veglia da oltre un secolo sul mercato.

Sono le sei e mezzo quando, nello spicchio di mercato dedicato all’abbigliamento, si apre il primo tendone. Il commerciante inizia a disporre la sua merce mentre i tram alle sue spalle scandiscono il tempo. Intorno iniziano a schiudersi altri ombrelloni e altre merci e sullo sfondo il cielo lentamente si rischiara. Il ritmo accelera, incalzato dai furgoni che accostano e ripartono e dai mercanti che si muovono sicuri verso i loro banchi. Quando la chiami casa non è più un labirinto, ma servono l’occhio esterno di una macchina fotografica e la pazienza di un cavalletto per raccontarlo.

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