“La percentuale più alta di sanitari che chiedono il part time sono le donne e lo chiedono per accudire i figli”. Teresa Calandra, presidente della Federazione nazionale Ordini dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni tecniche della riabilitazione e della prevenzione, ha evidenziato un problema che riguarda tutte le professioniste sanitarie.
In occasione della Giornata internazionale della donna, la Federazione ha presentato all’Hotel Principi di Piemonte i risultati del progetto SeGea – Sex gender approach.
L’argomento è la differenza di sesso e genere nelle professioni sanitarie, con particolare attenzione alla medicina di genere. Uno dei temi più ricorrenti tra i 19 profili professionali afferenti alla Federazione è quello dell’istituto del part-time.
“L’istituto del part-time dovrebbe garantire diverse attività. – ha detto ai nostri microfoni Teresa Calandra – Da questa indagine abbiamo la conferma che le donne lo utilizzano principalmente per accudire la famiglia o i figli o i genitori. In percentuale gli uomini che richiedono il part-time, lo fanno per partecipare a corsi formazione e fare carriera. Considerando che all’interno delle aziende sanitarie la presenza è a maggioranza femminile, vuol dire che non c’è una struttura sociale e organizzativa che consente alle donne di essere impegnata così com’è consentito agli uomini. È chiaro che l’opportunità di fare carriera è correlata al tempo disponibile. L’accudimento dovrebbe essere 50 e 50 in un contesto familiare, ma quando non è così il tessuto sociale dovrebbe garantire dei servizi che le donne possano utilizzare per dedicarsi allo sviluppo della carriera”.
Su come limare questo ostacolo si è espresso anche Giovanni De Biasi, coordinatore del progetto SeGea e consigliere del comitato centrale della federazione.
“A monte dovrebbe esserci il supporto delle famiglie che dovrebbero dare più spazio alle donne. La realtà è che la figura femminile assuma troppo spesso il ruolo di caregiver. Se questo trend si riducesse ci sarebbe guadagnerebbero del tempo da dedicare alla professione. Nonostante la composizione del nostro organico sia a prevalenza femminile, ai vertici vi sono dirigenti uomini. Da parte nostra stiamo cercando di fare formazione informazione su questo. Realizzare un cambiamento culturale e fare sì che ogni donna possa avvalersi dei propri diritti”.
L’indagine SeGea, nata su impulso dell’applicazione e diffusione della medicina di genere nel Servizio sanitario nazionale legge 3 del 2018, è stata sviluppata dalla Federazione in collaborazione con EngHea Endengering Health che ha l’ambizione di promuovere un approccio consapevole al sesso e al genere nelle professioni sanitarie. Amelia Ceci, membro del consiglio direttivo dell’associazione e consulente del progetto SeGea, ha parlato con noi.
“Questo progetto di ricerca e formazione molto complesso è iniziato nel 2022 e a distanza di due anni continuiamo a parlarne. È stato pensato e sviluppato ancora prima che uscisse il secondo decreto legge che ha reso, in Italia, la medicina di genere una materia conosciuta. Il muro della disparità tra uomo e donna nelle professioni sanitarie sì può abbattere. È un muro culturale che con una continua formazione si sgretolerà per diventare altro. Sul tema sì, ci sono ancora molte incertezze perché i dibattiti non sono sempre molto facili. Credo che oggi, 8 marzo, sia un invito alle donne per cambiare. Se non cambiamo noi, se non studiamo di più e non pretendiamo ogni giorno di essere rispettate, perché dovrebbero farlo gli altri? La società è strutturata in un certo modo e l’aspetto più importante su cui lavorare per cambiarla sono i rapporti di lavoro”.
Durante la conferenza le referenti e i referenti dei vari ambiti sanitari hanno esposto gli esiti dei questionari, mostrando un’alta percentuale di risposta da parte di soggetti giovani e di sesso femminile. Un progetto che tuttavia mostra dei presupposti ottimisti secondo Chiara Riccardo, referente del cda nazionale dei Tecnici della riabilitazione psichiatrica.
“Il progetto SeGea è stato importante per sperimentare dal vivo quella che è l’interdisciplinarità nell’approccio alla medicina di genere. Abbiamo condotto un lavoro di riflessione rispetto all’importanza che ha un’approccio sistemico al tema dell’equità tra i generi. Un argomento che per le nostre professioni sanitarie deve diventare necessariamente uno dei valori guida sia dal punto di vista etico che dal punto di vista normativo. Questo per garantire l’appropriatezza degli interventi di cura, di terapia e riabilitazione per i nostri pazienti e per un’equità rispetto all’accesso alle cure. Sappiamo bene come tecnici della riabilitazione psichiatrica che un progetto riabilitativo individualizzante e personalizzato per i nostri pazienti deve tenere in considerazione gli aspetti legati al genere. Tutto ciò fa già parte della nostra cultura professionale e il valore e aggiuntivo che SeGea ci ha dato è proprio un allargamento della visione rispetto all’equità tra i vari generi anche dal punto di vista del valore sociale oltre che sanitario che questo tema porta con sé”.