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Passione swing: il ballo che conquista Torino

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Per gli appassionati ogni sera è quella giusta. Il martedì sera l’appuntamento è al Q77 in corso Brescia, il mercoledì è nei dintorni di Porta Palazzo al Fortino, il giovedì al Caffè Basaglia. Nel weekend eventi e festival si moltiplicano in giro per l’Italia. Sono i ballerini di swing, che appena possibile indossano gonne a ruota, camicette colorate e papillon ed entrano in pista. Un ballo che conquista sempre più persone: solo a Torino sono oltre 1300 gli iscritti ai corsi. Per la maggior parte sono giovani fra i 25 e i 35 anni, ma non mancano ragazzi adolescenti e poi pensionati, gli ultimi a lasciare la sala.

Nel capoluogo piemontese la capofila è l’associazione Dusty Jazz che dal 16 al 18 marzo ha organizzato lo Swing Train Festival. Per la quarta edizione sono arrivati ballerini da tutto il mondo a tenere lezioni per i più o meno esperti: workshop di gruppo mattina e pomeriggio per imparare i passi da mettere in pratica la sera. I visi sono stanchi, ma sorridenti. “Prima di scoprire il lindyhop ballavo il tango – racconta Giulia Cicerale, fondatrice di Dusty Jazz – e lì l’atmosfera era molto carica di sensualità ma seria. Con lo swing è tutta un’altra cosa: il clima è leggero. L’obiettivo, prima di tutto, è divertirsi”.

Nato alla fine degli Anni ’20 in America, lo swing era la reazione alla crisi economica, un modo per evadere dalle preoccupazioni che assillavano il Paese. E secondo Stefano Tertulliani, compagno di vita e di lavoro di Giulia Cicerale, non è un caso che in Italia questo ballo sia stato riscoperto da pochi anni: “Mi piace pensare che in una nuova situazione di malessere generale si sia voluto riscoprire un modo di stare insieme in allegria”. In Gran Bretagna e in Svezia un primo revival c’era già stato negli Anni ’90 ma ora la musica swing sta vivendo un vero e proprio boom.

Swing e lindy hop sono i due termini chiave: il primo indica la musica, mentre il secondo è il termine più corretto per il ballo. Leggenda vuole che il nome sia dedicato a Charles Lindbergh, l’uomo che nel 1927 realizzò la prima traversata aerea dell’oceano Atlantico. Durante le celebrazioni dell’impresa i ballerini eseguivano nuovi passi in voga ad Harlem e al giornalista che chiese di quale stile si trattasse venne risposto: “È il salto di Lindy!” (in inglese lindy hop).

Nato nello stesso ambiente del jazz e del blues, anche lo swing era una reazione della società afroamericana alla discriminazione bianca. Tuttavia, in alcuni locali come il Savoy nelle serate dedicate al lindy hop, l’irresistibile ballo che stava emergendo, l’accesso era permesso ai bianchi e ai neri. Veniva chiamato “The home of happy feet”, oggi il locale è stato raso al suolo e si può trovare solo una targa commemorativa. Il nome però si è mantenuto in molte canzoni jazz.

Nel 2018 lo swing mantiene il suo carattere di difensore dell’uguaglianza, stavolta la partita si gioca sulla parità di genere: il ruolo di leader – chi guida la danza – e di follower – chi segue – per abitudine sono rispettivamente maschile e femminile. “Ma si tratta più che altro di una questione culturale – sostiene Giulia Cicerale – perché di fatto non c’è nessuna regola che impedisca di invertire le parti”. “Oggi infatti sono sempre di più le ragazze che chiedono di imparare a condurre – rilancia Tertulliani –. E sta emergendo la figura del follower influencer: chi viene condotto a un certo punto può introdurre delle variazioni e prendere in mano la situazione”.

La regola più importante è che non ci sono regole. Ballo di protesta e liberazione, come la musica jazz lo swing si basa sull’improvvisazione. Non esiste un manuale che prescriva i passi, così come manca una federazione che certifichi gli insegnanti. Il ruolo si basa sul riconoscimento degli altri e si conquista sulla pista da ballo.

CORINNA MORI