Oggi il Consiglio Regionale ha rimandato per la terza volta la discussione della proposta di legge “Liberi subito”, che stabilisce procedure e scadenze chiare per l’accesso all’aiuto medico alla morte volontaria (il cosiddetto “suicidio assistito”).
Davanti a Palazzo Lascaris l’associazione Luca Coscioni si è riunita per chiedere ai consiglieri regionali di esprimersi sulla proposta di legge che in Piemonte ha raccolto più di 11.400, tra spiccano quelle di alcuni sindaci ed esponenti di centro-destra. Ma il presidio organizzato non ha avuto il risultato sperato. “Quella di oggi è un’occasione mancata. Continuiamo la mobilitazione affinché il Consiglio regionale non si sciolga prima di aver dato una risposta a oltre 11mila piemontesi e a tantissime persone che soffrono e che non riescono a far sentire la loro voce. Nel caso in cui questa risposta non arrivasse, sarebbe un danno per la credibilità delle istituzioni regionali. E sarebbe un atto di grave insensibilità nei confronti dell’urgenza delle persone che soffrono”, afferma Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni.
“La decisione non è stata quella che ci aspettavamo. Il capogruppo della Lega ha detto che non esclude una votazione prima della fine della legislatura. A questo punto serve una data, altrimenti è solo propaganda”, commenta Davide Di Mauro, coordinatore regionale dell’Associazione. L’obiettivo dell’associazione Coscioni rimane quello di impedire che l’imminente scioglimento della Giunta regionale faccia perdere l’occasione di poter votare la legge.
“Le cose sono cambiate dal 2006, quando Piergiorgio Welby ottenne per la prima volta di essere aiutato a morire senza soffrire. Mario Riccio inizialmente fu incriminato per omicidio del consenziente, reato che prevede dai 6 ai 15 anni di carcere. Fu incriminato per qualcosa che oggi nessuno più contesta: nemmeno il Vaticano, che allora negò i funerali religiosi a Welby, oggi mette in discussione il fatto che ci sia il diritto alla sospensione delle terapie senza soffrire”, commenta Cappato.
Ad oggi, sono quattro le persone che hanno potuto accedere all’aiuto medico alla morte volontaria in quattro regioni diverse: Marche, Friuli-Venezia Giulia, Veneto e Toscana. Infatti, quello che riguarda il fine vita è un diritto che esiste già. La Corte Costituzionale ha già stabilito che, anche in assenza di una legge regionale, possono accedere al suicidio assistito le “persone lucide e consapevoli affette da patologie irreversibili e da sofferenze insopportabili e tenute in vita da trattamenti di sostegno vitale. Il problema riguarda l’attuazione di questo diritto — spiega Cappato —. Il Consiglio regionale del Piemonte non può fermare questa battaglia: può solo decidere di dare condizioni di maggiore garanzia e di agevolare il lavoro di chi opera nel servizio sanitario”.
Il desiderio dell’associazione Coscioni è di realizzare per il fine vita quello che è stato fatto per l’aborto, spiega ancora Cappato: “Chi è preparato, istruito e ha le possibilità economiche può superare il boicottaggio della pubblica amministrazione. Ma chi non ha piena consapevolezza dei propri diritti, allora non può accedere a questo diritto”.
Secondo il Censis (Centro studi investimenti sociali), il 74% di italiani è a favore alla legalizzazione dell’eutanasia. E prendendo in considerazione i singoli partiti, la maggior parte degli elettori — anche di centro-destra e di destra — si è espressa in maniera positiva in merito al suicidio assistito (80% della Lega e di Fratelli d’Italia). La percentuale si alza prendendo in considerazione i praticanti saltuari della funzione religiosa (87%). E anche tra i praticanti assidui il consenso non manca (50%). “In queste settimane si sono pronunciati pubblicamente a favore di questa legge di iniziativa popolare tre Presidenti di Regione di centro-destra: Luca Zaia (Veneto), Giovanni Toti (Liguria) e Attilio Fontana (Lombardia). Quello che chiediamo al Consiglio Regionale è di non rimandare e di assumersi le proprie responsabilità”, conclude Cappato.