Sorveglianza speciale. Li chiamano “foreign fighters” torinesi, ma in Siria ci sono andati per combattere contro lo stato islamico. Sono Paolo Andolina, Jacopo Bindi, Davide Grasso, Fabrizio Maniero e Maria Edgarda Marcucci. Quattro di loro si sono arruolati nelle Ypg e Ypj, le milizie siriane democratiche e hanno combattuto contro l’avanzata dell’Isis in Medio Oriente. Lunedì 25 marzo alle 9 un’udienza del Tribunale di Torino deciderà se applicarla a questi cinque giovani. La motivazione della richiesta, arrivata lo scorso gennaio, è la loro “pericolosità sociale”, come si legge in una nota della Digos, e il timore che: “essendosi arruolati in un’organizzazione paramilitare […] possano utilizzare le loro conoscenze in materia di armi e di strategie militari per indottrinare altri militanti d’area e commettere delitti contro la persona con più gravi conseguenze”.
La sorveglianza speciale è stata introdotta dal Codice Rocco del 1931, in epoca fascista, poi confermata e tutt’ora in vigore. È una misura di prevenzione che consiste in alcune limitazioni, come la revoca del passaporto e della patente di guida, un coprifuoco notturno e il divieto di partecipare a riunioni pubbliche di qualsiasi tipo. Inoltre, se dovesse venire applicata in questo caso, le cinque persone dovrebbero allontanarsi da Torino per alcuni anni e cambiare comune di residenza.
“Questo provvedimento è un’onta per il nostro Paese e per questa città”, commenta Davide Grasso. Per il legale del giovane torinese, Lea Fattizzo, non c’è stata alcuna violazione di norme nel diritto interno, così come non è provato che siano stati commessi reati all’estero. La normativa sui “foreign fighters” presente nell’ordinamento italiano infatti, introdotta dal decreto Alfano nel 2015, riguarda il terrorismo e l’arruolamento per combattere nelle fila di organizzazioni terroristiche. Gli interessati però escludono di aver partecipato ad attività di questo tipo poiché, come dichiara lo stesso Grasso: “Le forze democratiche curde non sono considerate terroristiche, se non dalla Turchia”.
Il giudice dovrà valutare se, come richiesto dal Pm, esiste un’effettiva pericolosità sociale, che è il presupposto fondante della misura di prevenzione richiesta. Per determinare se il loro comportamento può mettere in pericolo la sicurezza pubblica, andranno presi in considerazione i precedenti, i reati, i procedimenti pendenti di tutti i soggetti, la loro condotta sul territorio italiano e se la loro adesione alle Ypg-Ypj possa essere considerata un elemento socialmente pericoloso.
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Chi ha combattuto l’Isis in prima linea viene dunque considerato pericoloso. E la “contraddizione”, secondo Fabrizio «Jackie» Maniero, è che “di fatto questo Governo non si è mosso in nessun modo per la lotta allo stato islamico, nonostante una propaganda politica costruita su questo”. Passa dalla parte dei ‘cattivi’ chi veniva considerato quasi un eroe sul campo di battaglia. E se non eroi, almeno dalla parte dei ‘buoni’, dalla parte giusta della guerra all’Isis, come dimostra il trattamento riservato dallo Stato e dalla stampa nazionale a Lorenzo Orsetti, anche lui combattente delle forze siriane democratiche, caduto lunedì 18 Marzo.
“La morte di Lorenzo nasconde l’ipocrisia delle istituzioni italiane, perché se fosse sopravvissuto e tornato in Italia probabilmente anche lui sarebbe stato considerato socialmente pericoloso; questo è inaccettabile”. A parlare è Jacopo Bindi, l’unico dei cinque volontari che non si è mai arruolato nelle forze democratiche siriane, ma ha svolto attività politica e sociale nei territori del Rojava. Per Jacopo “l’iniziativa della Procura di Torino rappresenta un insulto a tutte le persone che hanno combattuto contro l’Isis e alla memoria di Lorenzo”.
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Anche il fumettista romano Zerocalcare si schiera al fianco dei giovani, ha firmato infatti un appello in solidarietà ai cinque torinesi insieme ad altri intellettuali e artisti italiani. “Sul banco degli imputati non ci sono solo loro, ma tutta la resistenza curda – spiega Zerocalcare – Le uniche persone che salvano la memoria del nostro Paese sono quelle che sono andate a combattere dalla parte giusta di quella guerra. Quello del Rojava è il progetto democratico più avanzato del Medio Oriente”.
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