La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Scoperto un nuovo gene che conserva le staminali: intervista al biologo molecolare Salvatore Oliviero

condividi

Un gene in grado di mantenere la staminalità delle cellule staminali totipotenti. Cioè, di quelle cellule che possono dare origine a qualsiasi altra cellula del nostro corpo, aiutandoci – potenzialmente – a curare molte patologie.

ZNF398 è il nome del gene “conservante” scoperto da una équipe di ricerca dell’Università di Padova – coordinata da Graziano Martello – in collaborazione con il team guidato da Salvatore Oliviero, professore ordinario di biologia molecolare all’Università di Torino. La scoperta è stata pubblicata lo scorso 12 maggio sulla rivista Nature Communications.

“L’identificazione di questa nuova molecola – sottolinea Oliviero – è stata raggiunta dal gruppo di Padova che ci ha contattato per la nostra esperienza nel campo dell’epigenetica, la scienza che studia ciò che avviene all’interno del nucleo cellulare, quindi nel genoma. Il gruppo di ricerca Veneto, del gene ZNF398 – responsabile della conservazione delle cellule staminali totipotenti -, voleva capire l’attività sul genoma. Così, noi abbiamo deciso di studiarlo”.

Gruppo di ricerca del professore Salvatore Oliviero

 

Partiamo dall’inizio. Perché è importante studiare il genoma umano?

Il nostro genoma, che contiene dentro di sé tutte le informazioni che servono ad una cellula per esistere e funzionare, presenta una serie di codici. Possiamo immaginarlo come un nastro di informazioni che vengono decodificate dalle proteine che leggono questi segnali allo stesso modo di come facciamo noi quando leggiamo un testo. Il genoma è fatto di tre miliardi di lettere, di cui alcune sono siti di legame per i regolatori, proteine che presentano un dominio di legame, cioè di “attacco” al genoma, solo su specifici segnali presenti sul genoma.

 

Come avviene questa lettura del genoma da parte delle proteine?

Andandosi a legare su questi segnali per iniziare un programma specifico. Per questo è importante capire come e dove una proteina si lega al genoma. Noi in laboratorio, attraverso tecniche molecolari molto sofisticate, riusciamo a studiare proprio questo “legame” e a individuare i siti di interazione DNA-proteine. Una volta individuati scopriamo così quali sono i caratteri, cioè le basi, del DNA a cui  quella proteina si lega. Quindi decodifichiamo il modo con cui quella proteina si lega con il DNA, e comprendiamo dove e quali segnali lei riconosce sul genoma. In questo modo arriviamo a comprendere la funzione specifica della proteina. Nel caso specifico di questa nuova proteina ZNF398, di cui non conoscevamo la funzione, nel laboratorio di Padova hanno capito che serve a mantenere le cellule nello stadio staminale, cioè non differenziato, aiutando le cellule differenziate a tornare indifferenziate, quindi a “ringiovanire”.

 

E questo cosa comporta?

Porta a riprogrammare le cellule adulte in cellule più giovani grazie ad un tipo di molecole che permette questa operazione, scoperto diversi anni fa da un gruppo di ricercatori giapponesi guidato da Shin’ya Yamanaka, che per questa intuizione ha vinto il premio Nobel per la medicina nel 2012.

Oggi, del cocktail di molecole che può portare a questo risultato, conosciamo anche il gene suddetto, il ZNF398. In aggiunta, abbiamo capito che la sua funzione è indotta da un fattore intercellulare, quindi che sta tra una cellula e l’altra.

Questa specifica molecola nelle cellule staminali le aiuta a rimanere tali. Quello che abbiamo capito è che funziona interagendo, dentro il nucleo cellulare, con altre molecole che conosciamo già. E assieme a queste molecole lega il DNA e attiva una serie di geni che sappiamo essere importanti per mantenere la staminalità.

 

Quali frontiere potremo attraversare grazie a questa scoperta? Quali malattie potremo curare?

Appena pubblicato il comunicato stampa su questa scoperta mi ha contattato un signore che voleva sapere se fosse possibile, grazie alla nostra scoperta, curare con le cellule staminali una degenerazione muscolare. Io gli ho spiegato che in questo momento, purtroppo, non siamo in grado di farlo. Ma capisco benissimo il desiderio di conoscere la potenziale applicazione pratica di questa scoperta: è giusto che ci sia questa speranza e questa richiesta.

Noi lavoriamo sulla scoperta, cioè cerchiamo di capire quali sono i meccanismi che funzionano dentro una cellula e come sono le molecole che qui interagiscono. Tutte queste informazioni sicuramente hanno una applicazione pratica. Ma non sappiamo ancora quale né quando la capiremo. Tuttavia, una cosa posso dirla.

 

Cosa stanno rivelando gli studi in laboratorio sulle staminali?

Quello che oggi posso dire riguardo le cellule staminali è che nei laboratori in cui vengono analizzate, compreso il mio, le prendiamo e le induciamo a diventare più differenziare: le portiamo a trasformarsi in muscolo, cuore, cellule nervose, globuli rossi e bianchi etc. Questi studi, molto complessi, proseguono da diversi anni. L’idea potrebbe essere quella di produrre tessuti differenziati a partire dalle cellule staminali per curare alcune patologie. Purtroppo, però, non siamo così vicini ad applicarlo. La ricerca, per funzionare, necessita di investimenti continui e a lungo termine. Pensiamo all’HIV, se non avessimo capito come funzionavano i retrovirus, chissà quanto tempo sarebbe stato necessario per trovare una cura. Invece, essendo stati condotti precedentemente specifici studi di base sul funzionamento dei retrovirus, in pochi anni si è arrivati ad una cura.

 

Con il giusto finanziamento quindi potremmo arrivare a conoscere l’applicazione pratica di scoperte come questa?

Esattamente. Come le dicevo, lo studio condotto era finalizzato a capire come mantenere le cellule staminali di un individuo in vitro, con lo scopo ultimo di  servirsi di quelle stesse cellule per reinserirle nello stesso individuo – evitando così il rischio di rigetto. La ricerca in cui ci stiamo impegnando – la ricerca di base o “fondamentale” – ha lo scopo di capire questi meccanismi. Il nostro studio ci permette di fare un piccolo passo avanti per capire come tenere in coltura – in vitro – le cellule staminali totipotenti senza farle invecchiare. Scoprire di poter prendere delle cellule adulte e riprogrammarle in embrionali comporta un grande vantaggio perché si tratta di cellule normali che continuano a replicarsi indefinitamente e quindi ci permettono di continuare a lavorarci. Prima di cinque/dieci anni fa, le uniche cellule che ce lo permettevano erano quelle di tipo tumorale. Si tratta di cellule che però non possono essere utilizzate per alcuna terapia. Al contrario possono aiutarci a comprendere come funzionano i tumori.

 

Invece la scoperta del gene ZNF398 ci dice altro.

Oggi sappiamo invece che è possibile mantenere in coltura cellule staminali totipotenti che possono trasformarsi in qualsiasi tipo cellulare adulto ed il gene ZNF398 aiuta a mantenerle tali. Questa è la scoperta di oggi, piccola ma che insieme ad altre, come quelle sul differenziamento delle cellule staminali verso i diversi tessuti, ci porta a pensare che in futuro potremmo curare delle patologie specifiche. Ad esempio potrebbe essere possibile aiutare un individuo con problemi al fegato, prelevando le sue cellule adulte, riprogrammandole a cellule staminali per poi ridifferenziarle a fegato di modo da reinpiantarle nell’organo e ripristinarlo. Tuttavia, ora non sappiamo ancora quando questo potrà accadere. Ciò che sappiamo, invece, è che senza adeguate risorse, non potremo mai raggiungere questi risultati.

 

Quali sono gli step successivi?

Sono diversi. Attualmente stiamo introducendo i geni scoperti finora e li introduciamo nelle cellule adulte per farle ringiovanire e farle tornare staminali. In molti laboratori poi si sta cercando di indurre l’espressione di questi geni endogeni – interni alle cellule – in modo da non introdurre nulla all’interno delle cellule per non modificarle.

 

E come si può fare?

Trattandole con farmaci. In questo modo non modifichiamo la cellula. Ma ci sono altri studi e altre metodiche ora in fase di sperimentazione. Il fine è lo stesso: rendere delle cellule adulte staminali e perfettamente identiche alle cellule dell’adulto. Questa è una delle linee di ricerca. L’altra s’impegna a capire come mantenere le cellule staminali in coltura e poi come differenziare queste cellule cercando di studiare quali molecole determinano il differenziamento di una cellula in fegato piuttosto che neurone.

 

Quali sono le molecole coinvolte in questo processo?

Questo è ciò che noi stiamo studiando per avere dei cocktail di molecole specifiche che ci permettano di far differenziare una cellula staminale in adulta. Non una adulta qualunque, ma quella specifica che serve a noi.

 

Come avviene la differenziazione della cellula staminale in una cellula “specifica”?

Il genoma ha una serie di segnali, che costituiscono l’epigenoma, utili a rendere accessibile e leggibile il genoma. Una cellula nervosa differenziata finale diciamo che esprima circa 5 mila geni – un quinto di tutti quelli di cui disponiamo. Una cellula finale differenziata del fegato ne esprime circa lo stesso numero ma una parte di questi è specifica per tipo cellulare, altrimenti non ci sarebbe differenza tra organi.

Uno dei metodi che la cellula ha per differenziarsi è chiudere regioni di genoma, cioè renderlo inaccessibile in tutti quei geni che non servono a quel determinato tipo di sviluppo cellulare.

Noi stiamo osservando che nelle cellule staminali il genoma è molto più aperto, questo perché la cellula deve ancora decidere cosa diventare. Stiamo studiando quali molecole attivano, aprono e chiudono il genoma in regioni diverse e lo osserviamo nelle prime fasi del differenziamento. Una cellula che diventa neurone, chiude specifiche regioni e ne mantiene aperte altre, una cellula che diventa cellula del fegato fa la stessa cosa, ma su regioni diverse del genoma. In questo modo cerchiamo di capire come funzionano i geni e la loro regolazione. Per semplificare: come una cellula diventa una cosa piuttosto che un’altra.

RICCARDO LIGUORI