La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Santoro, Zanotelli e la faticosa urgenza della pace

condividi

“Quanta tristezza! Non perché abbiamo visto partire i nostri uomini in assetto di guerra, ma perché abbiamo visto tornare a uno a uno, con inesorabile puntualità, gli argomenti di una logica che pensavamo esiliati per sempre dal nostro costume”. Sono le parole di Tonino Bello, vescovo di Molfetta morto nel 1993, uomo di pace e venerabile per la Chiesa cattolica (è in corso il processo per riconoscerne la santità), ad aprire il dialogo tra un vecchio leone della televisione italiana, Michele Santoro, e il missionario comboniano Alex Zanotelli, impegnato per anni in Sudan e poi a Korogocho, una delle baraccopoli di Nairobi. Mondi diversi che si incontrano nelle parole di Bello. Il vescovo pugliese le aveva pronunciate nel 1991, quando, durante la prima guerra contro l’Iraq, la sua Puglia veniva trasformata in avamposto nel Mediterraneo per la partenza degli aerei diretti nel Golfo persico. Parole attuali, che dimostrano però anche quanto, del messaggio del vescovo avviato a beatificazione, si sia perduto.

“Trovo assurdo – osserva Santoro sul G7 in corso – che i potenti della terra abbiano il coraggio di lanciare da Hiroshima, simbolo perpetuo dell’immoralità della guerra, un messaggio militarista. Lì, dove abbiamo giurato che non ci sarebbe stata più un conflitto armato, ci presentiamo vestiti da militari per dire che c’è di nuovo una guerra giusta da fare”. 

E per Zanotelli il problema è ancor più radicale: “La guerra è essenziale a questo sistema. O ne usciamo o saremo sempre uguali. Non si tratta solo di guerra, ma di una minima parte della popolazione che consuma quasi tutto, lasciando alla stragrande maggioranza le briciole. È questo stile di vita, in cui a fare da ministri degli Esteri sono le multinazionali del petrolio, ad essere insostenibile”. 

Trent’anni fa, pochi mesi prima di essere stroncato dal tumore, Tonino Bello animò la “marcia folle” di quelli che chiamava “costruttori di pace”: cinquecento persone laiche e religiose che entrarono a piedi nella Sarajevo assediata da mesi dai serbi. Dove sono, oggi, quei costruttori di pace? E che pace è possibile di fronte all’invasione russa? 

“Mi pare che oggi questo popolo sia ancor più invisibile – afferma Santoro – e che manchi, nei nostri media, un punto di vista critico su quanto sta accadendo. Abbiamo vissuto la guerra in Iraq come fosse uno spettacolo pirotecnico, ma anche lì i bambini morivano a migliaia, lasciando i segni dei loro corpi bruciati contro i muri. Oggi giustamente il dolore della guerra ci viene raccontato, ma non dobbiamo perdere di vista che il nostro più grande nemico è la guerra stessa”.

Per i due ospiti del Salone del Libro di Torino quel che si può fare è manifestare. Con le bandiere alla finestre, con una posizione ferma di pacifismo. E, aggiunge Zanotelli, con scelte critiche, “boicottando le banche che finanziano gli armamenti, con la consapevolezza che il nostro Paese arriverà presto a investire in armi il 2% del Pil. Non vogliamo il santino di don Bello sugli altari, vogliamo che il suo messaggio passi”. E, conclude: “Finalmente, dopo centinaia di anni di una politica diversa della Chiesa, Papa Francesco ha avuto il coraggio di dire che non esistono guerre giuste, ma ho l’impressione che il suo messaggio fatichi a permeare le comunità cristiane”. 

Nel confronto tra i due c’è spazio anche per il profeta Isaia e per quel passaggio a cui Francesco Guccini ha dedicato una canzone. Shomer ma mi llailah?, “Sentinella, quanto ancora durerà la notte?”. È profonda, questa notte di guerra, ma non profonda abbastanza da impedire a qualcuno di sognare un movimento pacifista europeo. Il viaggio non è ancora terminato.