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Sanità, Giustetto: «A Torino prestazioni in aumento ma senza continuità terapeutica non c’è cura»

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«I medici non si sentono considerati dalle istituzioni. Non basta l’aumento delle prestazioni sanitarie, la cura è un’altra cosa». Il sistema sanitario nazionale stenta a riprendersi dopo anni di pandemia da Covid-19. L’allarme sul malcontento del personale sanitario piemontese arriva da Guido Giustetto, presidente dell’Ordine provinciale dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Torino, che è intervenuto lunedì mattina al convegno “La salute, un bene da proteggere” organizzato dalla Cisl Torino-Canavese. «Non si può dire che la Regione non garantisca prestazioni – ha detto – ma la cura non è quella roba lì. Bisogna ripensare la sanità al di là dei numeri». 

Nella Regione Piemonte, secondo il presidente Alberto Cirio, la produzione sanitaria è in crescita e il numero di prestazioni in aumento. La ragione è anche che si sopperisce alle mancanze della sanità pubblica con l’intervento di quella privata. «Se devo smaltire due anni di blocco dove vado a prendere la prestazione? – ha detto – Ti rivolgi al privato non perché ne sei innamorato, ma perché è una fase di emergenza». E sui 3 miliardi previsti dalla legge di bilancio per il 2024 rimane cauto. «C’è un debito da pagare. Se non lo avessimo avuto avremmo potuto investire sulla programmazione, ma abbiamo dei costi: abbiamo cambiato i contratti dei medici, il costo dell’energia è aumentato». 

Per Giustetto, però, non può essere il mercato a dettare legge. Ne va della continuità terapeutica e della presa in carico del paziente, che sono gli elementi su cui poggia il patto terapeutico tra chi offre le cure e chi le richiede. Un esempio su tutti, dice, è che molti cittadini rifiutano la proposta di visita del centro unico di prenotazione (Cup) non solo per via delle lunge liste d’attesa, ma anche perché i pazienti non sono soddisfatti del luogo in cui è stata prenotata la visita. «Ho ricevuto all’Ordine [dei medici, ndr] un gruppo di neurologi che mi poneva il problema dal loro punto di vista. Dicevano: ‘noi non riusciamo più a vedere gli stessi pazienti che dovremmo vedere perché con il Cup vengono smistati dappertutto’. Manca completamente la continuità terapeutica».

Davanti a una platea di medici, infermieri, sindacalisti e giornalisti ha detto: «Ci stiamo dimenticando che cosa è la cura». «È un atto complesso che mette insieme biologia e relazione – ha spiegato Giustetto – vuol dire ascoltare e fare proposte. Quello che sta succedendo adesso è che la cura viene sostituita dalla prestazione». Secondo il presidente dell’Ordine dei medici, il focus sulla prestazione dà luogo a un sistema in cui a fare da padrone è il «consumismo sanitario». 

È dello stesso avviso anche Alberto Fabris, medico chirurgo specializzato in Oncologia, che ha menzionato il rapporto pubblicato dalla Fondazione Gimbe lo scorso ottobre. «Questo studio lancia un allarme: si va sempre più verso un sistema governato dalle leggi del mercato», ha avvertito. Secondo il rapporto, la legge di bilancio del governo Meloni, che ha stanziato circa 3 miliardi di euro per la sanità, avrà un impatto molto ridotto sul miglioramento del sistema sanitario nazionale, e nel lungo periodo addirittura negativo. Nonostante la cresca in numeri assoluti del finanziamento pubblico al settore, se nel 2022 la quota del Pil destinata alla spesa sanitaria era del 6,7%, nel 2026 la percentuale scenderà al 6,1%, secondo le previsioni. 

Per il segretario territoriale della Cisl Torino-Canavese, Paolo Ferrero, è urgente «superare la visione miope che non considera la sanità un investimento». Per Ferrero serve un nuovo modello di welfare di comunità, perché quei 3 miliardi per il 2024 andranno sì nel rinnovo dei contratti e nell’abbattimento delle liste per le assunzioni, ma non rivedono il limite ai tetti di spesa per potenziare l’organico. «Liste di attesa, rinunce alle cure e diseguaglianze – dice – stanno lasciando tutto il servizio sanitario nazionale in codice rosso».