Rimpatriati 13 detenuti romeni, e per il Ministro dell’Interno Salvini “è solo l’inizio”: in realtà, però, non è la prima volta che questo succede, e la disciplina che prevede i trasferimenti è europea. Con Stefano Montaldo, ricercatore di diritto dell’Unione europea del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino e coordinatore del progetto europeo RePers – Mutual Trust and Offenders’ Rehabilitation in Practice, per l’attuazione in Italia, Romania e Spagna delle procedure di trasferimento disciplinate dal diritto Ue, finanziato dalla Commissione europea col Programma Giustizia 2014-2020, abbiamo approfondito l’argomento per capire come e perché avvengono i rimpatri.
In base a quale normativa avvengono i rimpatri?
“I trasferimenti di soggetti condannati a pena detentiva sono stati disciplinati con un provvedimento dall’Unione Europea da dieci anni. In Italia, questa normativa è stata attuata nel 2011. Da allora la disciplina dei trasferimenti è operativa, con alterne fortune, nel nostro Paese. Dopo alcuni anni di rodaggio, il numero dei trasferimenti è cresciuto esponenzialmente a partire dal 2014 ed ha interessato soprattutto i rapporti bilaterali con la Romania. Tale circostanza è dovuta al fatto che, attualmente così come storicamente, il più elevato numero di cittadini UE detenuti nelle nostre carceri è di nazionalità rumena: al febbraio 2019 circa il 75% degli stranieri con cittadinanza di uno Stato membro dell’Ue”.
Quanti sono i trasferimenti?
“Ad oggi si contano più di 500 trasferimenti verso altri Stati membri, oltre a un centinaio di trasferimenti da altro Stato membro all’Italia, spesso relativi a cittadini italiani condannati all’estero. Di questi, sino a fine primo semestre del 2018, 324 hanno interessato la Romania. Si tratta dunque di una realtà consolidata nella prassi degli uffici giudiziari – sono particolarmente attive in materia le Procure di Milano, Roma, Torino – e, soprattutto, nell’opera dell’ufficio II della Direzione affari generali del Ministero della Giustizia, che si occupa di cooperazione giudiziaria internazionale. Tale ufficio, che oggi conta cinque funzionari, gestisce tutte le pratiche, sotto la supervisione di un magistrato responsabile”.
Qual è il ruolo del Ministero dell’Interno in quest’ambito?
“La materia è di competenza esclusiva delle autorità giudiziarie e del Ministero della Giustizia, quest’ultimo peraltro limitatamente al ruolo di “autorità centrale”, ossia di autorità che trasmette e riceve la documentazione e coordina l’operato degli uffici giudiziari, se possibile assicurandone la qualità.
Il Ministero dell’Interno non si occupa di queste procedure, bensì delle espulsioni che possono essere disposte nei confronti di cittadini Ue come pena accessoria ad una condanna, e solo dopo l’espiazione della stessa, o come misura amministrativa, stante la loro ritenuta pericolosità perla collettività. Si tratta però di ipotesi residuali, che nel nostro ordinamento hanno una incidenza a oggi limitata rispetto ad altri Stati membri, anche perché condizionate a criteri molto stringenti, per non dire eccezionali”.
Qual è la finalità della normativa?
“A questo proposito la dichiarazione del Ministro dell’Interno coglie nel segno delle preoccupazioni che alcuni studiosi e operatori hanno sollevato, cioè l’uso dei trasferimenti per finalità di gestione dei cittadini Ue indesiderati sul territorio nazionale. La narrativa proposta è negativa e semplicistica e non tiene conto del fatto che la normativa Ue sopra citata, e di conseguenza anche la legge nazionale di attuazione, sollecitano a ricorrere ai trasferimenti quale strumento per agevolare la risocializzazione del reo nel suo percorso di espiazione della pena. Questa prospettiva, molto più lungimirante, mira al reinserimento sociale del reo e, in ultima istanza, alla prevenzione di ulteriori episodi criminali. In uno spazio sociale europeo innegabilmente e costantemente connesso, è strategico puntare a risultati di lungo periodo”.
In concreto cosa può succedere?
“Il meccanismo ha molteplici implicazioni significative e potenzialmente decisive per i soggetti coinvolti. Infatti, la normativa Ue, in alcune ipotesi, permette il trasferimento del condannato senza il suo consenso. Se si interpreta questo meccanismo solo come uno stratagemma per disfarsi di persone indesiderate e “a carico”, si può arrivare al paradosso, da noi rilevato in alcuni casi, di soggetti trasferiti in Romania dopo anni di soggiorno in Italia, Stato nel quale magari essi hanno tutti i legami familiari e sociali o lavorativi”.
Quale dovrebbe essere il criterio invece?
“Il punto è, soprattutto ragionando nella dimensione transfrontaliera, l’individuazione del luogo migliore per l’espiazione della pena. Migliore per il condannato, ma anche per la società – e per tale si intenda collettività europea – che, prima o poi, si troverà nuovamente ad averci a che fare. Poi, certamente, fioccano i casi di reati odiosi, rispetto ai quali è naturale provare un senso di repulsione. Ma la narrativa negativa non può essere assoluta, sia perché i dati dimostrano che così non è, sia perché snatura la portata di uno strumento volto a ben più ambiziosi obiettivi”.
Quali sono attualmente i rapporti con la Romania?
“La cooperazione giudiziaria nell’Unione, e dunque anche i trasferimenti, funzionano secondo il principio della fiducia reciproca: io, Stato A, riconosco ed eseguo la tua sentenza, Stato B, perché mi fido del tuo sistema giudiziario e normativo, della tua capacità di esercitare la giustizia e di tutelare adeguatamente i diritti fondamentali, anche delle vittime si intenda. Questa fiducia si innesta peraltro in un tessuto di relazioni molto articolato, che nel caso dell’Italia vede interessi economici enormi in Romania.
Dichiarazioni avventate, che designano un “altro” e lo usano per fini propagandistici attraverso informazioni non corrette – finendo per animare le reazioni verbali più crude da parte di tanti utenti social – pongono a serio rischio i rapporti bilaterali, non solo sul fronte della cooperazione giudiziaria. Molte “conquiste” nei rapporti bilaterali Italia Romania sono frutto di un lavoro pluridecennale, partito con la conclusione di un accordo bilaterale ancor prima che la Romania accedesse all’Ue e proseguito con la conclusione di linee guida e di un memorandum of understanding tra i due ministeri della giustizia, volto a facilitare ed accelerare le procedure di trasferimento”.