Il dibattito politico delle ultime settimane ha acceso i riflettori sugli invisibili. I migranti. Ci siamo accorti di loro quando abbiamo notato che non c’erano più braccia nei nostri campi a raccogliere uva, pomodori, ciliegie. Poi abbiamo notato che non erano solo i braccianti quelli di cui avevamo bisogno. Ma anche le migliaia di colf e badanti che si prendono cura dei nostri nonni e dei nostri familiari più deboli, che puliscono le nostre case. Sono circa 200 mila, secondo le stime del Ministero dell’interno i migranti irregolari impiegati nei settori dell’agricoltura, dell’assistenza agli anziani e cura della casa. Saranno loro i beneficiari della tanto dibattuta regolarizzazione contenuta nel “Decreto Rilancio”.
Le opzioni sono due. Da un lato il datore di lavoro potrà regolarizzare i dipendenti attualmente assunti in nero che, in caso siano migranti irregolari, riceveranno automaticamente il permesso di soggiorno. Per gli irregolari che invece hanno lavorato in precedenza negli stessi settori e ora hanno perso il lavoro è concesso un permesso di sei mesi per trovare un nuovo impiego. È una misura che potenzialmente permetterà di migliorare le condizioni di migliaia di persone che lavorano stabilmente da anni nel nostro Paese e che spesso vivono situazioni di marginalità e violenza, senza diritti o assistenza sanitaria di base.
«La misura rappresenta un primo passo importante, seppur parziale, verso il riconoscimento dei diritti e la tutela della dignità di centinaia di migliaia di persone straniere presenti nel nostro Paese», dichiara l’associazione “Ero Straniero”, che nel 2017 ha raccolto oltre 90 mila firme a sostegno di una proposta di legge popolare depositata alla Camera e attualmente in esame presso la commissione competente.
È un traguardo significativo anche secondo Roger Davico, presidente di Anolf Cuneo, Associazione nazionale oltre le frontiere, promossa da Cisl. Davico però ha qualche perplessità: «Abbiamo pensato a loro solo perché ci servono. Non si tiene conto delle persone, ma solo del nostro egoismo. Sarebbe stato intelligente invece regolarizzarli tutti. Perché è giusto, non perché serve». I “tutti” di cui parla Davico si aggirano tra le 500 e 600 mila persone. «Sarebbe stato intelligente toglierle dalla clandestinità, così avremmo difeso di più la nostra società da episodi di illegalità in cui spesso sono condotti ad entrare a causa delle situazioni disperate in cui vivono”. Non ci sono solo braccianti e colf infatti. Chi resta fuori? Certamente coloro che lavorano in settori diversi da quelli del decreto. Ma restano fuori anche anche i più fragili, i più esposti a condizioni di rischio contagio, come i tanti senza fissa dimora che si spostano tra i marciapiedi e i dormitori, sempre più rari da trovare in questi giorni. Anche loro, senza la possibilità di trovare un lavoro e quindi senza alcun tipo di tutela. Ancora più impreparati di fronte a una malattia così cieca come il coronavirus.
L’epidemia è democratica, è vero. Non guarda al colore della pelle. Eppure i suoi effetti non sono democratici affatto. A pagare un duro prezzo in questa situazione sono anche i bambini figli dei migranti. Per loro la scuola è il primo luogo di integrazione, l’occasione più grande di imparare l’italiano. Spesso a casa non hanno gli strumenti adeguati per seguire le lezioni a distanza e i genitori fanno più fatica ad aiutarli con i compiti. Stare lontano dalle classi e dai compagni è ancora più pericoloso per chi come loro rischia di crescere nel nostro Paese e sentirsi sempre straniero.
Niente Made in Italy senza i lavoratori stranieri
[aesop_content color=”#2b2b2b” background=”#333333″ columns=”1″ position=”none” img=”http://futura.news/wp-content/uploads/2020/05/WhatsApp-Image-2020-05-15-at-21.06.17.jpeg” imgrepeat=”no-repeat” disable_bgshading=”off” floaterposition=”left” floaterdirection=”up” revealfx=”off” overlay_revealfx=”inplaceslow” aesop-generator-content=”Macedoni e bulgari nelle vigne, indiani nella filiera del latte. La frutta la raccolgono i cittadini di origine subsahariana, i cinesi si occupano della pietra di Luserna. Le badanti provengono in gran parte dall’Europa dell’est o dall’America Latina. Il “Made in Italy” non è fatto solo da italiani. Chi lo pensa (e lo proclama) dovrebbe dare un’occhiata al film-documentario realizzato dall’associazione Anolf Cuneo. Il progetto è nato con l’obiettivo di raccontare il microcosmo multietnico che caratterizza le campagne cuneesi. «Volevamo documentare che alcuni prodotti di eccellenza del nostro territorio, ci sono non solo grazie alla lungimiranza degli imprenditori locali, ma anche al lavoro delle comunità straniere», spiega Roger Davico, presidente dell’associazione promossa da Cisl. Il docufilm, girato dal regista Sandro Bozzolo, uscirà verso la fine di giugno sul sito oltrelefrontiere.net e sarà accompagnato da alcune pillole culturali e tanti dati. Per realizzarlo sono state coinvolte le tante comunità straniere locali che con il tempo si sono specializzate in settori specifici. Molti di loro arrivano in Piemonte con delle competenze forti già acquisite nei paesi di origine, altri invece imparano direttamente nel territorio attraverso percorsi di formazione. C’è la storia, ad esempio, di un gruppo di richiedenti asilo che si è formato per la gestione e la cura dei boschi e oggi sono molto ricercati nel settore. «Si parla spesso di Cuneo come una provincia ricca – conclude Davico – ma senza il lavoro degli stranieri molte produzioni non le avremo».
“]Macedoni e bulgari nelle vigne, indiani nella filiera del latte. La frutta la raccolgono i cittadini di origine subsahariana, i cinesi si occupano della pietra di Luserna. Le badanti provengono in gran parte dall’Europa dell’est o dall’America Latina. Il “Made in Italy” non è fatto solo da italiani. Chi lo pensa (e lo proclama) dovrebbe dare un’occhiata al film-documentario realizzato dall’associazione Anolf Cuneo. Il progetto è nato con l’obiettivo di raccontare il microcosmo multietnico che caratterizza le campagne cuneesi. «Volevamo documentare che alcuni prodotti di eccellenza del nostro territorio, ci sono non solo grazie alla lungimiranza degli imprenditori locali, ma anche al lavoro delle comunità straniere», spiega Roger Davico, presidente dell’associazione promossa da Cisl.
Il docufilm, girato dal regista Sandro Bozzolo, uscirà verso la fine di giugno sul sito oltrelefrontiere.net e sarà accompagnato da alcune pillole culturali e tanti dati. Per realizzarlo sono state coinvolte le tante comunità straniere locali che con il tempo si sono specializzate in settori specifici. Molti di loro arrivano in Piemonte con delle competenze forti già acquisite nei paesi di origine, altri invece imparano direttamente nel territorio attraverso percorsi di formazione. C’è la storia, ad esempio, di un gruppo di richiedenti asilo che si è formato per la gestione e la cura dei boschi e oggi sono molto ricercati nel settore.
«Si parla spesso di Cuneo come una provincia ricca – conclude Davico – ma senza il lavoro degli stranieri molte produzioni non le avremo».
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Articolo tratto dal Magazine Futura uscito il 20 maggio 2020. Leggi il Pdf cliccando qui