Sedici persone di tre generazioni diverse che discutono di hate speech (l‘incitamento all’odio ndr) e giornalismo etico in quattro lingue, tutto per creare media più onesti. Sta succedendo in questi giorni a pochi chilometri da Atene.
Lo scopo della campagna RespectWords è stilare un codice tramite cui i giornalisti possano gestire e controllare i discorsi d’odio legati ai processi migratori. Un compito che si sono poste sette radio europee nella cornice di un progetto comunitario. Ne fa parte anche Futura News con le giornaliste Camilla Cupelli e Martina Pagani. Sei mesi di lavoro tra seminari e workshop nei vari Paesi, tutti con lo stesso obiettivo: contrastare l’hate speech che volontariamente o involontariamente si scatena quando si parla di migrazioni. Italia, Spagna, Irlanda, Germania, Slovenia, Grecia e Ungheria hanno stilato una serie di vademecum nazionali, che da martedì 13 a sabato 17 giugno sono discussi e commentati in una riunione collettiva ateniese con l’obiettivo di presentare un documento unico europeo a Bruxelles in ottobre. A progetto finito seguirà una campagna radiofonica di diffusione dei risultati.
In Italia capofila del progetto è Radio Popolare, con l’aiuto di Carta di Roma e delle scuole di giornalismo di Milano e Torino. Nove futuri giornalisti e due studentesse di sociologia della Bicocca si sono confrontati sui temi della comunicazione e sulle difficoltà quando si parla di minoranze e rifugiati. Alla fine degli incontri, di cui uno al Festival dei Diritti Umani di Milano alla presenza della Vicedirettrice della Federazione europea dei giornalisti Nadia Azhgikhina, è stato prodotto un documento con consigli pratici per i giornalisti che vogliono scrivere di minoranze nel miglior modo possibile. Diviso in base ai vari media (giornali, fotografie, radio, televisione e web), il documento porta consigli pratici per ognuno.
Spesso i giornalisti usano a sproposito il termine ‘clandestini’ o ‘migranti’, invece di ‘rifugiati’. I centri di accoglienza vengono raccontati in base all’effetto che hanno sulla classe media italiana. Audio e video di radio e televisione sono spesso montati in modo da creare tensione. I quotidiani (tranne Stampa e Fatto quotidiano) non hanno una policy per i commenti online. I titoli degli articoli sono spesso urlati e devianti. Le fotografie fanno solo da contorno. I dati e i numeri sono usati per aumentare il senso di invasione. Sono questi e molti altri i problemi che il team italiano ha ritrovato nei media quando il tema è l’immigrazione. Per non parlare della questione delle sanzioni e dei player digitali che seguono la legislazione americana che non hanno nessun controllo sui discorsi d’odio in nome della libertà d’opinione.
Durante la discussione con gli altri team sono emersi elementi interessanti. La Slovenia ha posto il problema del contesto entro cui sono riportate le parole di persone ingiustamente accusate di terrorismo. Dall’Irlanda è partito il dibattito sull’identità di chi arriva sulle nostre spiagge: dobbiamo approcciarci a loro come rifugiati o come padri, medici, iracheni? Sally Galiano, giornalista spagnola trapiantata in Irlanda, ha suggerito di chiederlo ai diretti interessati e di intervistare i rifugiati non solo sul tema dell’immigrazione. “Io vivo in Irlanda da vent’anni, ma quando sono stata invitata dalla radio era solo per parlare della Spagna” dice durante il dibattito. Pia, voce radiofonica tedesca, ha suggerito di non limitare l’identità delle persone, ma di considerarne il mix: una donna che va in piscina col burkini non è solo un’integralista o una turca, ma molte altre cose.
La discussione del secondo giorno si è aperta con la ricerca di un target appropriato per il documento: non solo giornalisti ma anche blogger, studenti di giornalismo e non, Ona, media indipendenti, Ong.