Sono le 21 passate e Franz di Cioccio, batterista e leader della PFM, dal palco del teatro Colosseo, spiega perché sia stata scelta proprio Torino come data di apertura dell’ “Emotional Tattoos” tour. “Torino ci ha sempre portato bene – sottolinea il frontman della Premiata Forneria Marconi – speriamo accada anche questa volta”. Settantuno anni, bacchette in tasca e una t-shirt con la scritta “randagio” stampata a caratteri cubitali. “Storia di un minuto” il loro primo lp ha compiuto 45 anni e viaggia spedito verso il mezzo secolo.
Dal 1972 a oggi la band milanese è cambiata più volte, ma gli addii di Flavio Premoli prima e di Franco Mussida poi, due dei fondatori della PFM, non hanno intaccato il valore del gruppo. La storia della band si intreccia con quella della musica italiana. Il progressive puro degli inizi ha lasciato album dopo album il passo a un rock sempre più asciutto, mantenendo la complessità degli arrangiamenti ma snellendo le partiture dei singoli strumenti.
La PFM, più che un gruppo, è un’orchestra di sette strumentisti e, della musica classica, mantiene la pulizia tecnica e l’ispirazione. Il concerto tocca i vari generi esplorati dalla band. Dal progressive degli esordi fino alle variazioni sul tema proposte nell’album di rivisitazione della musica colta “PFM in classic”. Un’elaborazione in chiave rock di opere classiche spaziando da Mozart a Verdi.
Il gioco di luci e il teatro pieno fanno da cornice alla performance del complesso. Di Cioccio descrive il nuovo cd, “Emotional Tattoos” appunto, spiegando il concetto che è alla base dell’album. “La musica è un unico continente” sottolinea dal palco, e di questa “pangea” di note e armonie la PFM sembra conoscere ogni singolo stato.
Ogni pezzo ha una lunga coda che esalta le capacità dei singoli componenti del gruppo. Marco Sfogli e Alberto Bravin, rispettivamente chitarrista e tastierista aggiunto, hanno raccolto l’eredità dei fondatori della band. Sono riusciti a consolidare l’idea alla base del successo del gruppo. L’unicità degli strumentisti viene piegata in nome dell’armonia, lo spunto è affidato ai musicisti nelle jam session che concludono i pezzi, ouverture finali più che chiusure, ma le partiture rimangono invariate durante l’esecuzione, come si addice a un’orchestra per palati fini.
La PFM ha quasi cinquant’anni e nella sua storia è riuscita ogni volta a districare la matassa di note creata dai virtuosismi dei singoli, grazie all’affinità della ritmica curata dalla batteria di Roberto Gualdi e dal basso di Patrick Djivas. L’insieme corale è allo stesso tempo potente e liberatorio. La scaletta è studiata in ogni minimo particolare, permettendo a Di Cioccio di alternare ritmica, assoli e improvvisazioni con il resto della band.
Prima della consueta pausa che precede il finale, il violino di Fabbri si infiamma sulle note dell’ouverture del “Guglielmo Tell” di Rossini, saltano alcuni crini dell’archetto, ma imperterrito il musicista continua. Il risultato non cambia. È standing ovation, la prima della serata. I sette ritornano sul palco in formazione completa, suonano il loro arrangiamento personale del “Pescatore” di Fabrizio de Andrè, è un successo di pubblico. È quasi mezzanotte quando comincia la celebrazione finale. Una vera jam Session il cui filo conduttore è il riff alla base di “È festa” il brano che rese celebre il gruppo oltre i confini nostrani. Tutti in piedi per la seconda volta ad applaudire stupiti la freschezza di una band che ha quasi mezzo secolo di vita.
L’impressione, in questo novembre distante cinquant’anni dalla prima del gruppo milanese, è che il tempo migliora l’arte e ne scolpisce il ricordo più nei live che in studio. Confermando così la speranza iniziale di Franz di Cioccio. Torino porta davvero bene alla PFM.