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Racconti di donne non più straniere

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Al suo diciottesimo compleanno, il Concorso letterario nazionale Lingua Madre, destinato a tutte le donne migranti o di origine straniera residenti in Italia, diventa un periodico settimanale. Si suggella così il desiderio della fondatrice Daniela Finocchi, che aveva ideato il progetto nel 2005 e che ora può vantare oltre 10 mila autrici, 18 mila antologie pubblicate e 2 mila incontri. 

Una storia già lunga, ma disposta a cambiare, ad adattarsi allo spirito del tempo e alle trasformazioni, sempre più veloci e, a volte, travolgenti. Da quest’anno il sottotitolo del premio sarà “Racconti di donne non più straniere”, per decretare il superamento dei confini una volta e per sempre. 

“Questo genere letterario coinvolge quei giovani che si cimentano per la prima volta nella scrittura – spiega Vittoria Poggio, assessore alla cultura, al turismo e al commercio della Regione Piemonte –. Il progetto parla di donne che si confrontano con altre donne, si specchiano appunto, e riflettono su ciò che possono fare per il futuro.”  Attraverso lo specchio non solo si adatta al concorso, ma “da la possibilità di affrontare un futuro diverso – dice Marco Pautasso, vicedirettore Salone internazionale del libro di Torino –, una società più giusta, rispettosa dell’ambiente e inclusiva.” I racconti esprimono un tratto di fondo, sottolineano cioè “l’importanza della relazione per trovare la forza di ribellarsi a un futuro assegnato — in patria o altrove — tra incertezze e coraggio.”

Altri temi comuni sono quelli delle radici e delle identità, che convivono e a volte entrano in conflitto. Le vincitrici, accompagnate dai sindaci dei paesi che le hanno ospitate, hanno tessuto, nei loro racconti, la tela comune dell’Italia di domani che deve marciare verso una direzione sempre più giusta, cogliendo il lato migliore di ogni cultura. 

Dall’Europa, all’Africa e all’Asia si incrociano percorsi di guerre, sacrifici e lotte che hanno visto le donne in prima linea. “Fin dall’Ottocento, in Polonia, le donne combattevano in casa, per preservare la lingua polacca, vietata dall’occupante russo, nei dolori mesi della spartizione”, spiega il console onorario Ulrico Leiss De Leimburg, che accompagna la vincitrice del Premio speciale “Torino film Festival” Patrycja Holuk.

L’Italia diventa così una nuova casa, per continuare le lotte di allora, che si fondono a quelle del presente: “Non sono venuta in Italia per caso. L’Italia mi ha dato la libertà di espressione. Bisogna preservarla”, dice Açelya Yönaç, vincitrice del terzo Premio.

Ma c’è anche la necessità di unire dove la guerra divide, di uscire dagli schemi della propaganda per andare oltre le separazioni imposte: “Sono legata alla persone che mi sono lasciata indietro, ma anche a tanti che ora vivono in Russia – racconta Natalia Bondarenko, vincitrice del secondo Premio, il Premio speciale “Consulta femminile regionale del Piemonte” –. Io stessa sono metà russa e metà ucraina. Una volta ho visto la mia vecchia casa in Tv e ho pensato che forse era meglio così, che mia mamma se ne fosse andata prima che la guerra iniziasse.”

Da qui il tema delle sofferenze che sembrano sempre lontane, ma in realtà potrebbero essere vicine a noi. Come se il Roero e il Monferrato fossero teatro di un genocidio spaventoso e di uccisioni a colpi di machete. “Il Rwanda è grande quanto il Piemonte, la Valle d’Aosta e la Liguria insieme e ha un paesaggio che ricorda le nostre colline”, dice il console Luciano Longo alla presentazione delle vincitrici del primo premio Marie Christine Mukamunana e Lauramaria Fabiani. Ora anche la c’è la pace e nella “Svizzera dell’Africa” il 72% dei parlamentari sono donne.

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