Mercoledì 8 maggio è stata inaugurata la 71ma edizione del Festival del Cinema di Cannes. La rassegna, che durerà fino al 19 maggio, si è aperta con la proiezione di Todos lo Saben (Everybody knows, in inglese) il film del regista premio Oscar iraniano Asghar Farhadi, nel quale recitano con Penelope Cruz e Javier Bardem. Sul tappeto rosso hanno sfilato anche i movimenti #MeToo e #TimesUp, con le attrici Kristen Stewart, Léa Seydoux e Cate Blanchett, la regista Ava DuVernay e la cantante di origine burundese Khadja Nin. Sono cinque dei nove membri della giuria della competizione ufficiale, che ha il compito di assegnare la Palma d’Oro, cioè il riconoscimento più importante del festival.
Una maggioranza di giurati donna rappresenta un fatto non inedito ma, nelle circostanze attuali, importante, perché testimonia la solidarietà di Cannes ai movimenti nati dallo scandalo Weinstein sulle molestie. Non sono tuttavia mancate le polemiche per lo scarso numero di registe ammesse a concorso principale: in tutto tre film, su ventuno candidati, sono stati diretti da donne. Ha fatto discutere anche la riammissione di Lars Von Trier dopo che, nel 2011, era stato giudicato dal festival “persona non grata” per alcune frasi su Hitler e sul nazismo. Per alcuni la presenza del regista danese rappresenta una contraddizione rispetto alla solidarietà espressa nei confronti dei movimenti #MeToo e #TimesUp. In passato, infatti, la cantante Björk, che nel 2000 ha recitato in Dancer in The Dark, aveva accusato Von Trier di molestie. Accuse che quest’ultimo ha respinto.
Il secondo grande tema posto da questa edizione di Cannes è il rapporto tra il festival e le produzioni Netflix. Nel 2017, due film della piattaforma erano stati ammessi alla competizione per la Palma D’Oro (Okja, del regista sudcoreano Bong Joon-Ho, e The Meyerowitz Stories di Noah Baumbach) ma il logo di Netflix era stato fischiato dal pubblico presente in sala. Il presidente di giuria, il regista spagnolo Pedro Almodóvar, aveva sottolineato: “Personalmente non concepisco una Palma d’oro data a un film che poi non viene visto su grande schermo”.
Quest’anno il delegato generale del Festival di Cannes, Theirry Fremaux, ha deciso di escludere le produzioni Netflix dai film nella competizione ufficiale, a meno di un passaggio nei cinema francesi prima di finire sulla piattaforma. Ted Sarandos, capo dei contenuti digitali dell’azienda, ha risposto ritirando tutte le pellicole dal festival, anche quelle che sarebbero state presentate in categorie meno importanti e alle quali non era stato interdetta la proiezione. Tra i film scomparsi da Cannes dopo ci sono, così, il promettente Roma, del regista premio Oscar Alfonso Cuarón (ambientato in Messico negli anni Settanta), un documentario su Orson Welles e un film recuperato e terminato decenni dopo la morte del regista: L’altra faccia del vento.
Tra gli esclusi anche “Loro”, il film di Paolo Sorrentino su Berlusconi. Fremaux ha detto che la divisione in due capitoli rende “Loro” incompleto, quindi impresentabile. Anche Sorrentino, in un’intervista a Variety, ha ammesso che la versione di Fremaux, a suo parere, corrisponde alla realtà dei fatti. Ma alla conferenza della vigilia il delegato ha illustrato anche un’altra ragione dell’esclusione: “La scelta è stata di privilegiare nuovi cineasti, nuovi autori da far emergere”.
Un aspetto che completa l’idea di un festival dall’impostazione generalmente conservatrice è il divieto di selfie sul tappeto rosso: “Li abbiamo proibiti soprattutto perché allungano la passerella e in molti cadono giù dalle scale”, ha detto Fremaux, che ha poi aggiunto: “Siamo qui per vedere i film e non noi stessi”.
A proposito di film, quali sono quelli da tenere d’occhio a Cannes? Sicuramente BlacKkKlansman di Spike Lee. L’ultimo lavoro che l’afroamericano di Brooklyn portò in concorso ufficiale fu Do the right thing (in Italia Fa’ la cosa giusta), 29 anni fa. In questa edizione, Lee ritorna con la storia di un detective di colore che si infiltra in una cellula del Ku Klux Klan in Colorado. Da non perdere anche Climax, di Gaspar Noé, inserito nella Quinzaine des realisateurs: alcuni street dancers si ritrovano in una scuola abbandonata nel mezzo di una foresta e sperimentano ogni sorta di effetti provocati dall’uso di droghe. Un grande provocatore è anche Lars Von Trier. Il suo film, fuori concorso, è The house that Jack built, sui dodici anni di attività di uno dei più conosciuti serial killer americani. In competizione è invece Jean Luc-Godard, 87 anni. che con The image book promette di mandare in estasi i cinefili innamorati di un approccio sperimentale alla settima arte. C’è poi il regista tedesco Wim Wenders (Paris, Texas; Pina) con un documentario su papa Francesco mai raccontato, dal titolo Pope Francis – A man of his world. Due i film italiani ammessi al concorso: Lazzaro Felice, di Alice Rohrwacher, la storia di formazione di un giovane e ingenuo contadino e l’attesissimo Dogman di Matteo Garrone, che prende ispirazione della vicenda del canaro della Magliana.
Merita un capitolo a parte The man who killed Don Quixote di Terry Gilliam. Girare un film sul personaggio di Cervantes è stato da sempre il sogno dell’ex Monty Python. Le mille disavventure ne hanno impedito la realizzazione per vent’anni, rendendolo leggendario (c’è anche un documentario che ne racconta la travagliata storia: Lost in La Mancha). Ma i guai per Gilliam, che nel fine settimana ha avuto un ictus non grave che non gli impedirà la partecipazione al festival, e il suo Don Chisciotte sembrano non finire nonostante il film sia stato ormai faticosamente terminato. Una controversia legale tra regista e il produttore ne minaccia l’uscita nelle sale. La proiezione conclusiva a Cannes invece ci sarà.