La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

“Quali linguaggi per dire la disabilità”, il corso dell’Odg Piemonte in nome dell’inclusività

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Scavalcare il “pietismo”, raccontare storie con parole inclusive, aprire un dialogo con fasce del territorio. Lo scorso 26 gennaio si è tenuto il corso online “Quali linguaggi per dire la disabilità” convalidato dall’Ordine dei Giornalisti del Piemonte. Un’occasione di formazione e aggiornamento professionale che ha raccolto settanta giornaliste e giornalisti da tutta Italia, il cui focus è stato un tema su cui molti operatori dell’informazione ancora inciampano.

Il confronto nel ricordo di Paolo Osiride Ferrero

Tanti i punti toccati: dall’excursus sulla sensibilizzazione al tema alla trattazione in ambito legale, passando dalle esperienze di Intesa San Paolo e Hackability. A prendere parola per prima, la presidente della Consulta per le persone in difficoltà, Francesca Bisacco: “Spesso ci scontriamo con una rappresentazione della persona disabile superata – ha spiegato – In effetti, a livello giornalistico in Italia cadiamo facilmente nella retorica di pietas, miseria, fatica e mancanza. Questo però è lesivo della dignità della persona e delle sue possibilità di vita”. Una lettura, difatti, in controtendenza rispetto a quella di Paolo Osiride Ferrero, fondatore della Consulta.

Scomparso nel luglio 2017, una figura che ha coordinato a lungo le numerose associazioni torinesi focalizzate sul sostegno alle persone disabili. Sempre con una costante, quella d’immergersi nel tessuto sociale cittadino: “È colui che ha dato il via a una percezione della persona disabile differente, oltre la visione assistenzialista – ha ricordato Bisacco – Tutta la politica cittadina gli ha riconosciuto lucidità e profondità di pensiero, nonostante il carattere ruvido”. Proprio per questo, Cdp ha dato luce al premio “3 dicembre – Paolo Osiride Ferrero”, in collaborazione con il Master in giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino.

Abilismo, pietismo e Testo Unico

Spazio poi alla professoressa dell’Università di Torino in Pedagogia dell’inclusione, Cecilia Maria Marchisio, parte della commissione di studio redigente del ministero della Disabilità, che oltre a rimarcare cosa suscitano le definizioni di “abilismo” e “pietismo”, ha evidenziato i paradigmi sulla disabilità che si sono susseguiti nel tempo. Passando da “persona da eliminare” nel mondo antico fino a “persona da curare” che ha preso piede negli anni Settanta. “Nelle nostre narrazioni sulla disabilità, siamo ancora intrisi del paradigma medico – ha sottolineato Marchisio – Sebbene ormai con la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità si sia fatto un passo in avanti, ribadendo che indipendentemente dalle condizioni psico-fisiche, tutti godiamo degli stessi diritti”.

A inquadrare il nesso tra disabilità e linguaggio in termini legali, Dario Corradino, membro nel Consiglio di disciplina dell’Odg del Piemonte. Una delucidazione su come la disabilità si inquadri nel Testo Unico dei doveri del giornalista, in particolare negli articoli 6 e 7. Proprio il primo, capitolo sui doveri riguardo i soggetti deboli, è uno dei più grossi grattacapi per il Consiglio: “Statisticamente – ha detto Corradino – almeno il 30% dei casi sul nostro tavolo sono legati a questioni lessicali relative a minoranze di qualsiasi genere, discriminate in ogni modo”.

Puntare sulla “accessibilità”

Linguaggio inclusivo e disabilità, un connubio sposato anche da Intesa San Paolo che ha pubblicato lo scorso anno il proprio glossario in ottica “people-first”. Intitolata “Le parole giuste. Media e persone con disabilità”, è una “guida –  ha spiegato Elisa Ferrio, addetta alle media relations di Intesa San Paolo – che si incentra sulla persona e non sulla sua condizione”. Per questo, ha evidenziato la differenza fra “persona fragile e persona vulnerabile”, “non dire ‘non vedente’ e ‘non udente’ per riferirsi a cieco e sordo” e l’importanza di “una comunicazione genuina, che eviti forzature”.

Infine, palla a Carlo Boccazzi Varotto, presidente di Hackability, associazione no-profit che progetta tecnologie ad hoc per e con persone disabili. “Il mio invito è di valorizzare l’impatto sociale – ha raccontato – Noi andiamo in questa direzione partendo dalla quotidianità e dalle piccole cose, come la progettazione di un touchscreen o una mano robotica”. Una chiosa poi sul giornalismo e l’accessibilità per le persone disabili: “La maggior parte dei portali delle testate italiane – ha sostenuto Varotto – non è accessibile in termini assoluti. Così perdono fette di pubblico potenziale”.