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Legge sulla Vulvodinia, Pini (Pd): “Ritardo dovuto a fattori culturali, la sanità sia più coinvolta”

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“In Italia i problemi che riguardano le donne sono molto difficili da far passare come patologie primarie con la stessa dignità di tutte le altre. Se a essere coinvolti fossero gli organi genitali maschili e non quelli femminili, questa discussione non ci sarebbe neanche”.

Giuditta Pini, deputata del Partito democratico, è la portavoce della proposta di legge relativa alla vulvodinia che martedì 3 maggio è stata presentata alla Camera. Oltre a esponenti di diversi gruppi parlamentari, all’evento era presente anche Damiano, voce dei Maneskin, che ha accompagnato la fidanzata Giorgia Soleri, influencer e attivista che in un intervento ha fatto sapere di essere affetta da sempre da questo problema.

Il testo prevede il riconoscimento, da parte del Sistema sanitario nazionale, della vulvodinia e neuropatia del pudendo come malattie croniche e invalidanti. Si tratta di patologie femminili che si manifestano in dolori cronici persistenti, contraddistinti da forte bruciore, dolore durante i rapporti sessuali e arrossamento. Solo raramente, è accompagnato da altre lesioni osservabili macroscopicamente.

Stando ai dati dell’organizzazione Mondiale della Sanità, in Italia circa il 10-15% delle donne in età produttiva soffre di vulvodinia (numeri simili a quelli relativi all’endometriosi, un altro disturbo di carattere ginecologico). Non c’è una cura: esistono solo trattamenti mirati, come la terapia ormonale tramite l’assunzione della pillola anticoncezionale.

Il testo di legge presentato si compone di 15 articoli e chiede allo Stato la costituzione di una commissione nazionale che emani delle linee guida specifiche per la terapia, insieme all’apertura di centri multidisciplinari in tutte le regioni e l’istituzione di un fondo nazionale specifico. È stato scritto dal “Comitato vulvodinia e neuropatia del pudendo” ed è stato depositato il mese scorso sia alla Camera che al Senato. La sua storia, però, inizia circa cinque anni fa.

“Nel 2017 abbiamo tentato una riforma che ha creato una commissione – spiega Pini –. Ogni anno questa commissione doveva aggiornare una lista con le nuove patologie, ma la proposta è ferma al Ministero delle Finanze dal 2017. Nel frattempo ci sono stati i governi Gentiloni, Conte I, Conte II e Draghi: nessuno ha mai finanziato questo progetto.

Ma perché in Italia siamo arrivati solo ora a discutere di una questione così rilevante sul piano sanitario?

“Il ritardo è dovuto a due fattori. Il primo è culturale: le patologie che riguardano le donne, e più in particolare quelle ginecologiche, sono molto difficili da far passare come patologie primarie. Non hanno la stessa dignità di tutte le altre. La seconda questione è tecnica. In questo paese noi abbiamo i Lea, i Livelli essenziali di assistenza, che sono lo strumento che per legge aggiorna le patologie e tutti i parametri che servono poi eventualmente per chiedere disabilità, i ticket e la mutualità dei farmaci. Quando si tratta di trovare i soldi per il 110, si trovano 26 miliardi; quando si tratta di trovare i soldi per aggiornare i livelli sanitari di assistenza, non si sa come e non si sa perché non ci sono mai i soldi”.

Il timore, ora, è il rischio che la discussione di legge venga rimandata a data da destinarsi.

“La cosa importante è stata depositarla perché una volta che la depositi diventa uno strumento a disposizione di tutti e può essere ripresentata alle prossime legislature per poi essere discussa anche più avanti. I tempi sono infelici ed è molto difficile che venga approvata nell’immediato. Ma è assolutamente possibile e cercheremo, anche grazie alla visibilità che stiamo avendo in questo momento, di presentarla nella prossima legge di bilancio. Su questo io sto già lavorando con tutti i gruppi per poi avere un accordo con il governo e farla passare”.