Presepe sì o no: torna la polemica di Natale

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Anche quest’anno il presepe torna ad animare le vie di Torino. Al Borgo Medievale  si può ammirare quello creato dall’illustratore e scenografo genovese Emanuele Luzzati, da diversi anni simbolo del Natale nel capoluogo piemontese. La sua particolarità, oltre al fatto di esibire 90 sagome in legno dipinte, è quella di radunare i protagonisti della tradizione natalizia cristiana con i magici personaggi delle fiabe per bambini, per ricreare un’atmosfera incantata.

Ma non è finita qui. Torino propone al pubblico, dagli inizi del ‘900, anche il Presepio dell’Annunziata. Costruito un secolo fa dallo scenografo cinematografico Francesco Canonica, la creazione propone 200 personaggi (con altezza dai 25 ai 90 cm) di cui oltre 100 in animazione. Il movimento dei vari personaggi è dato da un unico motore elettrico – recuperato da una nave in demolizione -, collegato alle statue da un centinaio di pulegge e cinghie. Da qualche anno il Presepio è stato oggetto di una rivalutazione scenica con la realizzazione di un nuovo effetto giorno/notte, ottenuto con LED di nuova tecnologia e con diverse tonalità di colori. L’impianto è stato progettato espressamente per questo presepe e viene comandato da una centralina elettronica programmata con un software dedicato. L’utilizzo di questa tecnologia ha permesso anche un notevole risparmio energetico, aspetto non secondario e di cui si terrà conto per i futuri interventi di manutenzione straordinaria.

C’è chi lo considera un’imposizione culturale e religiosa. Chi, invece, un’occasione per tutelare una tradizione millenaria. Il presepe è tornato, anche quest’anno, a far discutere. Basti pensare alle polemiche suscitate dalla circolare con cui l’assessore regionale dell’Istruzione del Piemonte Elena Chiorino invitava i dirigenti scolastici a «valorizzare, all’interno della propria scuola, ogni iniziativa legata al Natale”. Oppure all’attenzione trasversale che ha ricevuto la lettera apostolica “Admirabile signum”. Uno scritto che il Pontefice ha dedicato al simbolo cristiano, definendolo come “un mirabile segno che suscita sempre meraviglia e stupore”. “Quella del presepio è una tradizione che coinvolge simboli con valenze anche esterne al cristianesimo – sottolinea Natale Spineto, professore ordinario di storia delle religioni all’Università di Torino – Simboli che nel contesto globalizzato attuale possono essere vissuti in modo indipendente dal loro senso cristiano”.

“Il presepe – continua lo studioso – si carica dei valori che si associano comunemente al Natale. Valori che non sono tanto le tematiche teologiche relative all’Incarnazione ma piuttosto un senso di rinnovamento, di purezza, di luminosità, di gioia, di meraviglia, in un contesto di ricupero della dimensione infantile”. Secondo lo storico delle religioni, infatti, al presepio si potrebbe associare, oltre alla cifra spirituale e religiosa, anche l’aspetto artigianale e artistico. “Può essere considerato come la ripresa periodica di un’usanza che, come tutti i costumi che si praticano con continuità, fa da collante per le generazioni”.

Ma, allora, presepe sì o presepe no? “Se il dibattito si inserisce nel quadro di conflitti identitari radicalizzati, il presepe può assumere le caratteristiche di un vessillo che si brandisce in tempo di guerra oppure quelle della bandiera del nemico, che si vuole conquistare e poi distruggere o tenere come un trofeo”, afferma Spineto.

“Da un punto di vista diverso – avverte lo studioso – allestire il presepe può essere l’occasione di realizzare qualcosa che per alcuni avrà un valore di fede, per altri risonanze simboliche più vaste di quelle cristiane, per altri ancora sarà soltanto un lavoro artigianale o artistico e magari anche un pretesto per fare qualcosa insieme”. Insomma, tutto dipende dall’uso che se ne fa, che può essere funzionale a un discorso inclusivo o, viceversa, esclusivo. Se le cose stanno così il nodo sta nel tipo di dibattito nel quale il presepe viene inserito. “In fondo – conclude lo storico delle religioni – tutto dipende dal modo con cui vogliamo concepire il rapporto con la nostra tradizione e con quella altrui”.

RICCARDO LIGUORI