Poesia senza nome: la bellezza si incontra agli angoli delle città

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«Ci piace immaginare le persone che leggono i nostri versi sui muri: camminano, pensano ai fatti loro, poi alzano lo sguardo e vedono una poesia. Magari vanno avanti, magari però si fermano e la leggono. È in quel momento che si concretizza il dono: l’opera prende vita in chi la legge, diventando anche dell’altro. Non ci si conosce, ma ci si riconosce». Poesie sui muri, tra le vie e le piazze delle città italiane. Sono scritte su un foglio A4, non sono firmate. Ma sull’angolo a destra, in basso, c’è un timbro rosso. È quello del M.E.P, il Movimento per l’emancipazione della poesia, un gruppo di 150 ragazzi attivi da Torino a Roma, da Milano a Bari. In mente hanno un’idea precisa: regalare un po’ di bellezza a chiunque cammini per strada. I loro versi si possono trovare ovunque, ma se c’è un posto in cui è ancora più facile notarle, quello è Firenze. Qui è nato il M.E.P una decina di anni fa, ma non si conoscono i nomi dei fondatori, così come non è dato sapere chi siano gli autori. 

Versi liberi

«L’esigenza è quella di rendere la poesia completamente libera – spiega un’esponente del M.E.P – Non firmiamo i nostri versi perché vogliamo permettere a ogni opera di essere sé stessa, indipendente e slegata da chi l’ha creata. Gli autori e i destinatari sono sconosciuti e in questa incognita si realizza quello che per noi è il senso dell’arte».  L’universalità della poesia non viene trattata come un concetto. Il M.E.P l’ha trasformata in azione, una rivoluzione avvenuta nel suo habitat naturale: la strada. E le vie cittadine scelte dai membri del movimento non sono casuali. Si cerca di arrivare dove difficilmente la poesia arriverebbe, quindi nei quartieri più periferici e nei luoghi in cui le persone si sentono più abbandonate. Anche i muri vengono scelti con cura: «Non siamo vandali – spiegano – Scegliamo superfici già imbrattate o rovinate. Il senso è quello di riqualificare il luogo. E poi incolliamo con acqua e farina, in modo che la poesia sparisca dopo poco tempo». Basta una sola pioggia. 

Le poesie del M.E.P passano da una persona all’altra, appaiono e scompaiono sui muri, gli stili si rinnovano in continuazione. «Se ci sono temi più trattati di altri? Sicuramente l’amore, però non solo. C’è stato un momento in cui si parlava molto delle condizioni dei migranti. I temi di attualità sono presenti. Sugli stili è invece più difficile dire se ci sono delle tendenze perché il nostro obiettivo è mischiare e unire, non omologare. Quindi riceviamo poesie davvero molto diverse l’una dall’altra». I versi provengono da tutta Italia e non c’è un criterio di selezione. Ad esempio, ciò che si legge a Torino può essere stato scritto a Roma, e viceversa. 

Oltre ogni confine

«Ogni membro del M.E.P carica su un unico drive le sue poesie. Quando il gruppo di una città sceglie di andare a fare attacchinaggio ne pesca alcune da quel drive completamente a caso. Gli autori non sanno di essere stati scelti. Con questo metodo cerchiamo di eliminare ogni personalismo e protagonismo nel rispetto dei valori che guidano il movimento». Un’organizzazione che funziona, superando i confini nazionali. «Negli anni il M.E.P ha aperto alcuni nuclei anche all’estero. Così gli autori di diverse nazionalità si scambiano le poesie, che vengono tradotte da un gruppo specializzato».  La passione è il motore. Ma un’intuizione ha bisogno di impegno e nel M.E.P c’è, anche se non si vede. Si muovono nel silenzio della notte, sotto quella stessa luna che ha parlato ai grandi poeti.