Il Piemonte, così come l’Italia, sono ancora lontani dal raggiungere l’obiettivo fissato dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite sulle energie rinnovabili. Il tema è affrontato nel Goal 7, “Energia pulita e accessibile”. In particolare, l’Agenda punta, entro il 2030, al raggiungimento della quota del 45% di energia da fonti rinnovabili. Secondo i dati raccolti nel Rapporto Territori 2023 di Asvis, cioè l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, l’Italia raggiunge il 19% di energia da fonti rinnovabili. Il Piemonte in verità supera la quota nazionale, arrivando al 19,4%. Tuttavia, entrambi si attestano ben al di sotto del punto di arrivo, con una differenza di venti punti percentuali dal target.
Il Piemonte, quindi, non è indietro rispetto al Paese. Nella corsa alle rinnovabili svolge un ruolo di capofila nel settore dell’idroelettrico e delle bioenergie. È quanto emerge dal rapporto “Comuni Rinnovabili 2023” di Legambiente. Nel 2022, infatti, ha installato nuovi impianti idroelettrici per un totale di 18,5 MW. Mentre, per le bioenergie si trova al terzo posto, dopo Lombardia e Campania, con un nuovo installato del valore di 2,6 MW. Inoltre, come mostra l’elaborazione del Rapporto “Giorgio Rota” a partire dai dati Istat, dal 2001 al 2021 la percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili è cresciuta, passando dal 22,6% al 31,1%. Tuttavia, dal 2019 al 2021, è stato registrato un calo di dieci punti percentuali.
Non solo. Il quadro appare diverso se si mettono in confronto i dati del Piemonte con quelli di altre regioni italiane per lo stesso periodo, cioè dal 2001 al 2021. Quello che emerge, infatti, è che fino a cinque anni fa la regione era tra quelle che produceva più energia da fonti rinnovabili. Secondo i dati raccolti dal Rapporto “Giorgio Rota”, nel 2019 si trovava al terzo posto, superata da Puglia e Calabria. Nel 2021 però, a soli due anni di distanza, è scesa alla settima posizione per percentuale di energia da fonti rinnovabili sul totale dell’elettricità prodotta. Il Piemonte, mentre altre regioni come il Veneto e la Campania hanno aumentato la loro produzione di energia da fonti rinnovabili, ha tolto il piede dall’acceleratore ed è stato superato.
Ad ostacolare i territori spesso la lentezza delle amministrazioni e della burocrazia. Il Piemonte, in realtà, non risulta toccato particolarmente da questo problema, quanto piuttosto dalle conseguenze del cambiamento climatico e in particolare della siccità. Nel 2022 la produzione netta da fonti rinnovabili del Paese è stata pari a 98 mila GWh, registrando un calo del 13,9% rispetto all’anno precedente. La causa, come evidenziato dal rapporto di Legambiente “Comuni rinnovabili 2023”, una drastica riduzione della produzione del comparto idroelettrico, di cui il Piemonte è uno dei maggiori promotori. Nel 2022 ha prodotto in totale, compresa la produzione di energia da combustibili fossili, 26mila GWh. Di questi 4mila sono stati prodotti dall’idroelettrico, pari cioè al 16% dell’elettricità totale prodotta
Negli ultimi vent’anni il settore dell’idroelettrico è cresciuto di 2,5 GW. Ciononostante non c’è stato di fatto un aumento della sua produzione. All’origine, la diminuzione delle piogge, che ha visto e vede tuttora periodi sempre più lunghi senza precipitazioni significative. Solo lo scorso anno, a causa della siccità che ha colpito tutta l’Italia, la produzione idroelettrica è calata del 36%. In linea con il Paese, rispetto all’anno precedente, in Piemonte si è registrato un calo del 35%.
Per comprendere la criticità della situazione italiana, che continua soprattutto in certi territori a investire nel settore idroelettrico, è sufficiente un confronto con gli altri paesi europei. In Germania nel 2022 il fotovoltaico ha prodotto in totale circa 60mila GWh. In Italia, invece, la produzione da energia solare per lo stesso anno è arrivata a 28mila GWh. Al contrario, nell’idroelettrico l’Italia supera la Germania con una produzione di 30mila GWh contro poco meno di 20mila GWh.
Sergio Capelli (Legambiente): "Negli ultimi quattro anni, due e mezzo li abbiamo passati in siccità”
“Il tema reale è che in Piemonte più della metà dell’energia prodotta da fonti rinnovabili è prodotta con l’idroelettrico e degli ultimi quattro anni, due e mezzo li abbiamo passati in siccità” sottolinea Sergio Capelli, direttore di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta. La grande carenza di acqua è un tema che recentemente si è presentato periodicamente e in modo costante. Ci sono stati alcuni periodi di piogge più intensi, ma sono sempre più isolati. Perciò, anche se gli eventi piovosi sono consistenti, non sempre riescono a compensare la mancanza d’acqua nelle falde acquifere e negli invasi. Lunghi periodi di siccità portano infatti il terreno a seccarsi e perdere permeabilità. All’arrivo delle piogge non risulta quindi pronto ad assorbire l’acqua e questa in gran parte scivola via, portando anche a situazioni critiche nelle città. Secondo Capelli sarà necessario fare una riflessione su questa modalità: “Sicuramente non sarà più sostenibile alcuna forma di micro-idroelettrico. Ma come rendere sostenibile l’idroelettrico è un tema che andrà affrontato”.
In generale, il Piemonte rimane comunque una regione che consuma molto di più di quel che produce a livello energetico: per Legambiente l’energia autoprodotta è il 15,4% del totale. Sulla possibilità di investire in impianti eolici pesa certamente la scarsità di vento che caratterizza il territorio. Il fotovoltaico è invece in crescita, ma ci sono comunque delle criticità. Per esempio l’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti degli edifici cittadini è spesso ostacolata dalle soprintendenze ai beni culturali, per via dell’impatto visivo che questi potrebbero avere sui centri storici. “Riteniamo assurda la norma per cui nel centro storico delle città non si possa mettere il fotovoltaico sui tetti – commenta Capelli – Mi è capitato di andare al grattacielo della Regione, guardare giù e rendermi conto che a Torino non c’è un pannello fotovoltaico sui tetti, oppure ce n’è qualcuno isolato in qualche angolino”. Un ruolo importante lo potrebbe avere l’agrivoltaico, che permette di coltivare parallelamente all’installazione degli impianti fotovoltaici, ma serve investire con decisione. Inoltre, ciò che potrebbe dare una spinta alla produzione di energia da fonti rinnovabili è la nuova normativa sulle Cer, le comunità energetiche rinnovabili.
Comunità energetiche rinnovabili, uno strumento virtuoso
“Le comunità energetiche sono uno strumento per gli utenti finali di aggregarsi e autoprodursi l’energia e autoconsumarla, con l’obiettivo di perseguire dei benefici economici, ambientali e potenzialmente sociali” spiega Andrea Lanzini, professore ordinario di Fisica e tecnica industriale al Politecnico di Torino e ricercatore dell’Energy center. L’Energy center ospita aziende e accademici che fanno ricerca nell’ambito dell’energia ed è inoltre un centro interdipartimentale del Politecnico che unisce competenze di diversi dipartimenti dell’ateneo per fare ricerca e supporto alle pubbliche amministrazioni. Dal 2019 si occupa delle Cer, promuovendo l’argomento, supportando alcune realtà nel costituirsi comunità energetiche e seguendone i progressi.
Il valore sociale appare come un’implicazione importante. La comunità energetica produce prima di tutto energia in modo pulito, ma non solo: gli incentivi derivanti dall’energia prodotta oltre la soglia del 55% vengono dedicati a cittadini e enti del terzo settore e potrebbero essere utilizzati per azioni ad impatto sociale; inoltre, i singoli vengono spinti a mettersi in collaborazione per raggiungere obiettivi economici e soprattutto sostenibili. “La condivisione è interessante perché abilita chi non ha superficie utile a produrre a essere comunque parte di una comunità energetica che complessivamente produce e consuma energia” aggiunge Lanzini. Inoltre, la produzione da impianti fotovoltaici è ancora condizionata dalle capacità e dai costi dei sistemi di accumulo, quindi la costituzione di comunità aiuta, permettendo di sfruttare comunque la sovrapproduzione rispetto al consumo effettivo. Infine, riguardo le difficoltà autorizzative, la speranza del professore è che il fatto che a volte i comuni stessi siano coinvolti permetta un iter più semplice e snello, per esempio nei già citati rapporti con le soprintendenze.
Costituire una Cer tra mille difficoltà
Il 23 gennaio 2024, con un anno e sette mesi di ritardo, il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (Mase) ha emanato il decreto attuativo, che con una serie di incentivi, stimola la nascita e lo sviluppo di Cer, normate dal decreto legislativo dell’8 novembre 2021 n.199. Esattamente un mese dopo, il 23 febbraio 2024, il Mase ha approvato le regole operative per ottenere i benefici previsti dal decreto. Perciò, dopo 806 giorni, al fronte dei 180 inizialmente previsti, le comunità energetiche che si sono formate negli ultimi anni e che stavano aspettando di capire come muoversi per poter ottenere gli incentivi potranno iniziare a mobilitarsi.
Non mancano però le criticità. Rimane, ad esempio, ancora qualche problema aperto sul contributo a fondo perduto, finanziato dal Pnrr e rivolto alle Cer nei comuni con meno di 5mila abitanti. In questo caso l’incentivo può arrivare a coprire fino al 40% dei costi ammissibili. “Non è chiarito se l’accesso al finanziamento a fondo perduto sia solo in capo alla Cer in quanto tale o in capo a singoli che mettono a disposizione un’impianto”, spiega Angelo Tartaglia. Ingegnere nucleare e fisico, è membro del direttivo della Comunità energetica del pinerolese e referente della comunità energetica Energia per tutti, che comprende i comuni di Cantalupa, Frossasco e Roletto.
Inoltre, le regole operative non fanno alcun riferimento allo scorporo diretto in bolletta per l’energia condivisa, previsto nel decreto del 2021. I membri delle Cer, quindi, pagheranno l’energia per intero in bolletta e solo successivamente si vedranno riconosciute le risorse economiche derivanti dall’energia immessa in rete e dall’incentivo per quella condivisa. “Mi sembra paradossale che se abbiamo formato una Cer, abbiamo degli impianti nostri e i contatori dicono che c’è corrispondenza oraria, dobbiamo pagare l’energia intera nella bolletta a qualcun altro”, commenta Tartaglia.
Ma c’è anche un’altra difficoltà: le tempistiche. Le domande di accesso agli incentivi potranno essere inviate non oltre la fine del 2027. Per il contributo a fondo perduto, invece, il termine è a marzo 2025. Inoltre, secondo la norma, gli impianti finanziati con il Pnrr dovranno entrare in funzione entro il 31 dicembre 2026. “Questi vincoli rendono molto più complesso il tutto”, osserva Tartaglia. Infatti, se per costituire una Cer i tempi sono abbastanza rapidi, se si devono costruire gli impianti da zero il discorso è diverso. In totale, la costruzione degli impianti, l’allacciamento alla rete e la costituzione di una Cer possono richiedere fino a sei mesi. A complicare le cose, la piattaforma del Gestore dei servizi energetici (Gse), da cui presentare le domande, non è ancora attiva.