Il Piemonte ha registrato nel 2022 un incremento di suolo consumato di 14,5 ettari per 100mila abitanti, pari circa a 21 campi da calcio. Per dare un’idea ancora più precisa, un valore simile corrisponde a circa 1.790 appartamenti da 81 metri quadri, ovvero la grandezza media degli appartamenti degli italiani. La regione si attesta così tra le meno virtuose d’Italia, anche se non tra le peggiori che sono Sardegna e Molise, rispettivamente con 33.9 e 27.4 ettari per 100mila abitanti nel 2022.
Nel nostro secondo approfondimento sulla situazione dell’ambiente in Piemonte affrontiamo appunto il problema del continuo aumento del consumo di suolo, che va ad intrecciarsi con altre questioni, come per esempio la qualità dell’aria, il primo dei nostri focus sulla situazione piemontese della sostenibilità. Il tema emerge con forza dal Rapporto Territori 2023 dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis), che riunisce numerosi soggetti impegnati nell’attuazione dell’Agenda 2030. Il rapporto evidenzia come né l’Italia, né il Piemonte, abbiano fatto passi significativi verso gli obiettivi dell’Agenda dal 2010 al 2022.
Ovviamente il Piemonte non è l’unica regione a trovarsi in una situazione critica rispetto ai goal dell’Agenda 2030 e quindi nell’ambito della sostenibilità, ambientale o sociale. “Non c’è stata da parte degli enti territoriali una forte spinta verso gli obiettivi dell’Agenda 2030. C’è un’unità d’Italia abbastanza evidente. Si sono mossi tutti nello stesso modo”, commenta Manlio Calzaroni di Asvis. Non c’è una regione in particolare che ha avuto una spinta verso gli obiettivi. Non sono state perciò allargate le maglie delle disuguaglianze tra Nord e Sud ma neanche si sono ristrette. “Forse c’è un problema di assunzione di questi obiettivi come prioritari di un’azione politica sul territorio” aggiunge Calzaroni.
Barbero (Arpa): "Piemonte sotto la media, ma è non meno grave"
Quella del Piemonte è una situazione critica, ma non la peggiore. Come osserva Secondo Barbero, direttore generale di Arpa Piemonte, il territorio si trova leggermente sotto la media rispetto ad altre regioni settentrionali. “Questo però non ci deve far considerare questo problema come meno grave – precisa Barbero – . Infatti se anche stiamo usando meno suolo in termini assoluti rispetto ai nostri vicini, sul piano dell’incremento stiamo consumando suolo esattamente come gli altri”.
Perciò è importante monitorare il consumo di suolo. Come osserva Barbero nel momento in cui si fa un intervento di cementificazione, si sottrae per sempre una porzione di territorio all’agricoltura o alla biodiversità. Inoltre, insieme alla cementificazione, cresce l’impatto dei cambiamenti climatici. “Aumenta l’impermeabilizzazione delle nostre aree e si riduce l’infiltrazione dell’acqua nel suolo, aumentando il rischio di allagamenti e di piene improvvise”, dice.
All’origine della crescita del consumo di suolo due fenomeni. Da un lato, la costruzione di nuovi insediamenti. Dall’altro, l’avanzamento dei lavori delle grandi infrastrutture: l’autostrada Asti-Cuneo oppure nell’area novarese l’infrastrutturazione per il sistema merci oppure, ancora, il Terzo Valico. Anche in Piemonte, come nel resto del Paese, il consumo di suolo si concentra prevalentemente nelle aree di pianura o di fondovalle, dove cioè si concentrano i centri abitati. Infatti, accanto agli interventi infrastrutturali, che interessano alcuni comuni, il consumo di suolo è un fenomeno che riguarda l’area della città metropolitana di Torino e i capoluoghi della zona di pianura. A confermare questa tendenza i dati a livello provinciale. Nell’ultimo anno i valori maggiori sono stati registrati nelle province di Cuneo e Torino, rispettivamente con 179 e 168 ettari in più. Le altre hanno valori inferiori ai 100 ettari.
“Noi siamo un Paese con una popolazione in diminuzione e perciò non dovrebbe esserci domanda di ulteriori suoli, se non per quelle infrastrutture che vengono realizzate”, commenta Barbero. La soluzione, invece che l’utilizzo di nuovi suoli, il riuso delle aree dismesse. Barbero racconta che, insieme alla Regione, Arpa Piemonte sta realizzando un censimento delle aree dismesse di maggiori dimensioni. L’obiettivo individuare le aree su cui intervenire al fine di renderle più attrattive per investimenti futuri. “Non possiamo esimerci dal gestire le aree industriali che hanno ospitato delle attività produttive e che oggi sono abbandonate e non gestite”, dice. Barbero osserva anche la necessità di una legge nazionale sul consumo di suolo, per il momento assente. “La pianificazione comunale è quella che incide maggiormente, ma una normativa nazionale è un elemento che potrebbe aiutare sicuramente”.
Munafò (Ispra): "Per raggiungere gli obiettivi agire con urgenza"
“Oggi, i dati ci dicono che siamo veramente molto lontani dall’obiettivo. Bisognerebbe intervenire con estrema urgenza e incisività su quelle che sono le politiche di governo del territorio e su quelle che sono le politiche infrastrutturali”. A parlare è Michele Munafò, responsabile del rapporto di ISPRA e del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) sul consumo di suolo. Interrogato sulle possibilità del Piemonte e dell’Italia di raggiungere gli obiettivi dettati dall’Agenda dell’Onu, Munafò dice: “Mancano sei anni al 2030 e il consumo di suolo non solo non sta rallentando, avvicinandosi a zero, ma addirittura sta accelerando”.
Dai dati raccolti nell’Atlante nazionale del consumo di suolo del 2023 emerge che il Paese ha consumato il 10% in più rispetto all’anno precedente, arrivando a sfiorare i 2,5 metri quadrati al secondo e interessando quasi 77 chilometri quadrati. A livello regionale il Piemonte ha registrato oltre 600 ettari di incremento netto sia nel 2022 che nel 2021. “Oggi il Piemonte continua con forza a trasformare il territorio e resta indifferente a quelli che sono gli obiettivi di sostenibilità”, osserva Munafò. “Torna ad avvicinarsi ai livelli del periodo 2006-2012 in cui ancora non c’era stata la crisi economica che poi ha toccato pesantemente il mondo dell’edilizia e delle costruzioni, rallentando il consumo di suolo”.
Il problema è che il suolo è una risorsa non rinnovabile. “Se noi lo perdiamo sotto il cemento e l’asfalto, quel suolo difficilmente tornerà a essere una risorsa funzionale in grado di fornire servizi ecosistemici, ma ci vorranno migliaia di anni per riformare lo spessore di pochissimi centimetri di terreno”, mette in guardia, come Barbero, anche Munafò.
Per invertire questa tendenza, il primo punto secondo Munafò è evitare di consumare nuovo suolo e di costruire su aree che non sono già artificiali. “Per farlo bisogna agire in una logica di riutilizzo e di economia circolare del territorio, partendo da quelle aree già costruite, magari dismesse e abbandonate”, dice. Tuttavia questo non basta. Per Munafò il passo successivo è cercare di recuperare suolo nelle aree con maggior degrado, “anche se non si riescono mai a ripristinare completamente tutte le funzionalità naturali di un terreno”.
Sul consumo di suolo manca una legge nazionale
Come messo in luce anche da Secondo Barbero, a compromettere la tutela della risorsa suolo c’è anche la mancanza di una legislazione puntuale a livello nazionale che scelga di agire effettivamente per ridurre il continuo aumento. Una normativa nazionale sarebbe infatti anche un punto di partenza per regioni e comuni per implementare azioni che vadano a contrastare l’incremento di suolo artificializzato. Come spiega ancora Michele Munafò di Ispra, la tutela dell’ambiente rientra tra le competenze costituzionali, soprattutto dopo le riforme costituzionali dell’articolo 9 e dell’articolo 41 che hanno definito la tutela ambientale come principio costituzionale: “Quindi, in questa logica, una legge nazionale è assolutamente necessaria e dovrebbe in qualche modo essere anche molto rigida per essere allineata a questi nuovi principi costituzionali. D’altro canto non si può che arrivare a questo obiettivo attraverso gli strumenti della pianificazione del territorio. Il governo del territorio è materia concorrente, quindi vede fondamentalmente la necessità di normare, attraverso una legge di principi nazionale e poi delle leggi e delle norme regionali che possano definire come arrivare a questo obiettivo”.
In Piemonte ci sono delle linee di intervento ma non non c’è ancora una legge specifica sul tema. Esiste un monitoraggio e nell’aprile 2023 la giunta regionale ha approvato delle disposizioni applicative per l’attuazione del comma 10, dell’articolo 31 “Contenimento del consumo di suolo” delle Norme di attuazione del Piano territoriale regionale. Esse consentono un aumento, in cinque anni, del 3% del consumo di suolo urbanizzato. A livello nazionale esistono diversi disegni di legge, come quello la cui prima firmataria è la vice presidente del Senato Anna Rossomando, del PD o il ddl a firma Chiara Braga, sempre del Partito Democratico, presentato il 26 maggio 2023 alla Camera e assegnato alla commissione VIII Ambiente lo scorso settembre. Ispra sta portando avanti un monitoraggio e le proposte in materia di consumo di suolo e rigenerazione urbana ora sono almeno una decina. Una delle criticità condivise tra le varie proposte, secondo Munafò, è legata al riferimento al 2050 come obiettivo per l’azzeramento del consumo di suolo, invece del 2030 già individuato dall’Italia. Inoltre si registra una tendenza a individuare all’interno della definizione di consumo di suolo delle eccezioni da non conteggiare nel fenomeno che spesso sono però significative, come il consumo in aree con previsione di edificazione da diversi anni o quello legato a infrastrutture strategiche o all’interno del tessuto urbanizzato, per esempio in aree agricole interne alle città. Si fa infine spesso riferimento al cosiddetto saldo zero di consumo di suolo – ovvero la compensazione dell’artificializzazione con processi di rigenerazione – non tenendo conto delle indicazioni della Commissione europea, che pone il saldo zero come ultima risorsa di una scala gerarchica, al cui vertice c’è l’azzeramento del consumo.
Tra gli elementi positivi c’è invece l’arrivo del tema al centro del dibattito parlamentare e anche l’attenzione ai sistemi di valutazione, ai dati e al monitoraggio come base di partenza per i processi decisionali. “In alcune proposte si legge un’attenzione rispetto al tema della tutela delle funzioni del suolo, dei suoi servizi ecosistemici, del riconoscimento del suolo come risorsa ambientale non rinnovabile alla base della capacità di ripopolazione dei cicli ambientali” dice ancora Munafò. Si può pensare ad esempio al consumo di suolo come fenomeno che influisce in maniera importante sul dissesto idrogeologico.
Recentemente, ospite alla fiera Ecomondo di Rimini lo scorso novembre, il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin ha dichiarato che “Abbiamo intenzione come governo di presentare nei tempi dovuti una legge quadro perché queste competenze sono poi ripartite a livelli regionali e comunali; legge quadro che deve avere proprio come ridisegno il consumo del suolo”. Tuttavia, Michele Munafò sottolinea come finora manchi chiaramente “una forte azione finalizzata ad arrivare all’obiettivo di arresto del fenomeno entro il 2030 e, collegata a questa, un’azione che possa anche mettere in discussione quelle che sono le scelte della pianificazione, per esempio andando ad agire in maniera drastica su eventuali previsioni di espansione della superficie artificiale”.