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Per innovare serve un esame di realtà, l’intervista allo storico Giuseppe Berta

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“È come buttare i dadi e sperare di vincere”. Lo storico Giuseppe Berta commenta così la frase “puntare sul rinnovamento e sulle start up potrebbe permettere all’Italia di diventare la prima forza manifatturiera d’Europa” pronunciata ieri, 4 marzo, dal ministro Luigi Di Maio durante la presentazione del Fondo nazionale per l’innovazione .

Puntare sull’innovazione è importante, e lo pensa anche il professor Berta, ma ritiene che ancora più centrale sia avere una visione d’insieme, ragionata e razionale. “Spesso evochiamo delle cose di cui non sappiamo quantificare la ricaduta economica, – spiega – mentre dovremmo ragionare sulle realtà che ci consentono di fare una proiezione economica nei prossimi anni” cosa che le start-up non assicurano di fare.
Per realizzare questo, i 300 milioni previsti dal fondo per Torino e, ancora meno, il miliardo stanziato per l’Italia non sono sicuramente sufficienti. Servirebbe uno sforzo superiore, una capacità d’investimento maggiore: “È una goccia nel mare rispetto alle dimensioni degli investimenti che vengono praticate negli altri paesi” taglia corto il professore.

Se si considera, per esempio, il Piano Italia di Fca per raggiungere la piena occupazione e portare la produzione della Fiat 500 elettrica a Torino, è importante valutare non solo ciò che la produzione dell’auto elettrica comporterà per Torino e per l’Italia, ma anche e soprattutto in che modo investire per rendere l’innovazione fruttuosa anche a distanza di anni. “Non bisogna dimenticare che in Italia, l’anno scorso, abbiamo venduto solo 5mila auto elettriche e sono numeri che non riescono a rientrare nella statistica. Comprare una 500 elettrica comporta una serie di conseguenze – continua Berta – come avere un garage attrezzato per caricare l’auto”. Inoltre, sarebbe fondamentate un piano di infrastrutturazione che preveda la distribuzione di supercharger in giro per le strade italiane: “C’era il progetto dell’Enel – racconta lo storico – che voleva creare dei luoghi di ricarica rapidi lungo le autostrade e prevedeva un investimento di cinque miliardi non di uno solo”.

Investire sull’innovazione, dunque, è cosa buona e giusta, ma i piani devono essere sostenuti da un pensiero ad ombrello, che copra tutti gli aspetti e gli svolgimenti economici del progetto. “Ci vuole un concerto di intenti. Noi purtroppo in Italia ne siamo deficitari e a Torino ancora di più. Mi sembra che mai come in questo momento la nostra città sia stata caratterizzata da una mancanza di cooperazione e sintonia dei vari soggetti pubblici e privati”, conclude il professor Berta.

 

MARTINA STEFANONI