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Pena di morte: 35 anni fa la prima iniezione letale

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La ricorrenza

Trentacinque anni fa moriva Charlie Brooks, il primo uomo a essere ucciso dal metodo dell’iniezione letale. La sua condanna non fu però il primo caso americano di pena di morte. Il 17 gennaio del 1977 Gary Gilmore veniva fucilato nello Utah.

L’iniezione letale resta però il metodo più utilizzato nella storia statunitense: dal 2000 in poi, soltanto 15 esecuzioni su 867 hanno utilizzato altre tecniche, tra cui la sedia elettrica, la fucilazione e la camera a gas (in disuso dal 1999). Complessivamente, da quando la pena di morte è stata resa legale nel 1976 dalla Corte Suprema, 1465 persone sono cadute nel braccio della morte. Oggi 17 Stati non la prevedono nel proprio sistema giuridico e altri 4 l’hanno messa in moratoria, quindi di fatto sospendendola temporaneamente.

In Italia

L’Italia, patria del ‘Dei delitti e delle pene’ di Cesare Beccaria, è stata una delle prime Nazioni ad abolire la pena di morte dal proprio codice penale.

Al momento dell’unificazione, nel 1861, tutti gli Stati preunitari prevedevano la pena capitale con l’eccezione del Granducato di Toscana. È stata abolita dalla legislazione unitaria nel 1889, ma la revoca di fatto risaliva già al 1877 con l’amnistia generale del Re Umberto I di Savoia.

La pena di morte è rimasta comunque in vigore nei territori coloniali e nel codice penale militare: sono stati tantissimi infatti i disertori, gli insubordinati ma anche gli innocenti fucilati.

Dopo 37 anni di rispetto dei diritti umani, è stato Mussolini a reintrodurre la pena di morte nel 1926: all’inizio solo per punire chi attentava alla vita del Re, della sua famiglia e del Capo dello Stato, ma col codice Rocco del 1931 sono aumentati i crimini punibili con la pena massima. Tra Corte d’Assise e Tribunale Speciale, nel periodo 1927-1943, sono stati giustiziati 117 uomini e una donna – Laura D’Oriano, colpevole di spionaggio e unica donna a subire pena di morte in tutta la storia italiana, se si escludono le esecuzioni sommarie e mai veramente contate che entrambe le parti (fascisti e partigiani) hanno commesso durante l’occupazione.

Nei primissimi mesi del Dopoguerra la pena di morte è stata reistituita e sono stati giustiziati 91 criminali della Repubblica Sociale Italiana. L’articolo 27 della Costituzione recita: “Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra”, ma anche quest’ultimo cavillo è stato espunto dal testo nel 2007.

L’ultima esecuzione italiana è datata 4 marzo 1947, quando al poligono delle Basse di Stura a Torino, alle 7.45 del mattino il Regno d’Italia ha fucilato i tre banditi colpevoli della strage di Villarbasse: Francesco La Barbera, Giovanni Puleo e Giovanni D’Ignoti durante una rapina avevano preso a bastonate e poi gettato in una cisterna dieci persone. All’esecuzione era presente anche un giovane Giorgio Bocca, che così la ricorda su la Repubblica nel 2007: “I lugubri preparativi sembrano ultimati: il plotone di esecuzione di trentasei uomini è schierato sul pendio che sta di fronte al muro dei condannati. C’ è il frate che va da una sedia all’ altra, cui i condannati sono legati, e mormora parole consolatrici che loro non ascoltano rannicchiati come orsi dietro il legno delle sedie, l’ultima illusoria protezione. Un signore in abito scuro, il questore suppongo, fa dei segni perché si affretti l’esecuzione e finisca questa maledetta grana. I soldati del plotone sono nervosi, a uno cade il fucile di mano: allora accorre l’ufficiale comandante con la sciarpa azzurra. Parte la scarica che, nel vuoto della campagna, è appena un crepitio, tanto che neanche i passeri si spaventano. Due dei condannati si afflosciano sulle sedie, Puleo non so come, torcendosi è riuscito a sollevarsi e a gridare qualcosa. Ma cosa? Un collega ha preso appunti. “Che cosa ha gridato?”. “Viva la Sicilia indipendente e libera”.

MARCO GRITTI
MARTINA PAGANI