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Pasqua con limitazioni, il vescovo di Pinerolo: “Giusto così”

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Sì ai riti tradizionali, in presenza. No al bacio della croce e alla processione del ramo d’ulivo, chiusa la veglia pasquale in tempo per il coprifuoco. Il Dpcm del 2 marzo, come i precedenti, ha lasciato la possibilità di accedere alle funzioni religiose. Così, un anno dopo la Pasqua vissuta online del primo lockdown, sono confermate le linee guida della Conferenza episcopale italiana per la settimana santa.

“Ci sono delle limitazioni ed è giusto così. È importantissimo che la Chiesa sia parte dello sforzo per cercare di limitare il contagio”.

Monsignor Olivero, chiamato anche “don Derio”, ha 60 anni ed è vescovo di Pinerolo dal 2017. L’anno scorso, tra marzo e aprile, venne ricoverato in gravi condizioni a causa del Coronavirus. Dopo aver “camminato due o tre giorni lucidamente con la morte” – così descrisse l’esperienza in seguito all’intubazione – guarì e in seguito si fece promotore delle misure restrittive anti-Covid. A novembre scelse di sospendere le messe per due settimane, nonostante fosse permesso celebrarle.

“Pensavamo che la zona rossa di allora fosse l’ultimo grande sforzo, un impegno di breve durata: ci siamo detti ‘stringiamo i denti’, e avevo scelto insieme ai valdesi di non celebrare la domenica. Purtroppo, però, il virus continua e il tempo è diventato molto lungo. Mi sembrava eccessivo rifare quella scelta oggi”. Anche perché “rispetto ad allora siamo tutti molto più allenati a rispettare le normative, sia chi celebra sia chi partecipa, è ormai un’abitudine consolidata. Quindi credo che il pericolo si sia limitato al massimo”.

Chiesa di San Rocco, Pinerolo, provincia di Torino

Nel 2020, la domenica di Pasqua era il 12 aprile. Un mese prima, l’Organizzazione mondiale della sanità aveva dichiarato l’inizio della pandemia. Nella settimana santa, in Italia si registrarono 4.537 morti da Covid-19.  “Come cristiani stiamo faticando, come tutti; ma in queste condizioni, in cui è possibile celebrare di persona e rispettare le norme di prevenzione, non possiamo assolutamente lamentarci”.

Nel momento più duro del ricovero in terapia intensiva, mons. Olivero ha detto di essersi aggrappato a due cose: la fede e le persone con cui aveva costruito delle relazioni. In seguito ha invitato, con una lettera aperta, a “riscoprire la comunità”, perché “noi siamo le relazioni che costruiamo” e “non basta tornare a celebrare per pensare di aver risolto tutto”. Cosa serve?

“È importantissimo mantenere voglia di relazione. La pandemia è iniziata come una malattia del corpo e sta diventando una malattia dell’anima: ci si abitua a stare da soli, quasi non si spera di tornare insieme. Invece bisogna tenere alto il desiderio di relazione, la voglia di trovarci”.

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