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Tra i palazzoni di Barriera batte il cuore della Torino underground

di Giuseppe Giordano e Pasquale Massimo

I palazzoni immersi nel silenzio di Barriera di Milano non lasciano spazio a spiragli di luce. In via Niccolò Paganini la musica è ovattata ma si inizia a percepire già prima di entrare. Il Bunker è talmente grande da aver bisogno di sei numeri civici per essere identificato. Dal cortile si vede la punta della Mole. Una specie di asterisco che rimanda al cuore borghese di una città perbene, ripulita, che sembra distantissima. Qui invece Torino fa i conti con la riconversione dopo il suo passato industriale e l’obiettivo è uno solo: fare mattina.

Entrare nel Bunker significa entrare nel mondo del clubbing dall’ingresso principale. Ecco una rassegna delle migliori serate torinesi di musica elettronica. Una guida che necessita di due premesse. La prima ha a che fare con Torino, che negli anni Ottanta è stata la porta d’ingresso dell’house music in Italia e si è sempre mantenuta una punta avanzata nel panorama nazionale. La seconda consiste nel valore aggiunto rispetto al tradizionale divertimento da discoteca. Quella dei clubbers è una sottocultura diffusa a livello internazionale, che individua nelle discoteche i luoghi d’elezione di tutta una serie di pratiche, tra cui, nelle accezioni più alte, il confronto con modelli e suoni innovativi.

La prima cosa da mettere in chiaro, spiega Francesco Rapone, che lavora con alcuni locali della scena underground, è la divisione tra organizzazioni e discoteche: le seconde si occupano di aspetti di tipo pratico, dalla sicurezza al bar, «ma sono le organizzazioni a dare l’identità alla serata». Target e tipo di musica, quindi, sono variabili legate a queste ultime. Le più importanti della Torino underground sono We play the music we love, che organizza il venerdì del Bunker, nel format Rave On, e del Cap10100; Mobbing, che il venerdì fa Kicks up all’Astoria; Savana Potente, lo staff delle serate del sabato a La Gare; Shout!, l’associazione dell’omonima serata di sabato allo Chalet del Valentino e l’Outcast, che cura il sabato al Supermarket. Non mancano delle eccezioni, in cui sono i locali stessi a creare gli eventi. Il Doctor Sax, ad esempio, apre quando le altre discoteche chiudono: dalle quattro è il ritrovo dei dj resident e di un pubblico di nicchia, massimo 200 persone, che si sposta da tutti i club di Torino per ballare fino a mezzogiorno. I proprietari dell’Astoria sono anche gli organizzatori e i dj resident dello Xanax party. Il pubblico di appassionati va da un picco dell’80 per cento di universitari delle serate dell’Astoria, al margine d’età più ampio di alcuni eventi, tendenzialmente per adulti, curati da Savana Potente.

Quali sono le feste che più di tutte possono offrire la possibilità di verificare lo stato dell’arte della sottocultura torinese? Incrociando le risposte di Enrico Piva, in arte The Taste, dj resident e membro di buona parte delle organizzazioni, Giorgio Valletta, tra i fondatori del Club to Club, festival di primo piano nel panorama europeo ed altri protagonisti della scena, si ottiene il programma di un weekend da vivere dal tramonto all’alba. Un viaggio tra format di serata e tipi di pubblico che si sovrappongono tra loro e marcano la distanza con una movida da luogo comune, più mediatica, quell’immaginario di bottiglie, tavoli, ragazze che indossano i tacchi con cui è possibile descrivere, ad esempio, le feste del Kogin’s. Il clubbing e la scena dell’elettronica underground sono un’altra cosa.


Lo Xanax party dell’Astoria è appuntamento fisso del giovedì. «L’idea di creare un ambiente intimo e familiare nasce dopo anni passati a suonare nei club torinesi», spiega Andrea Nissim, dj resident e uno dei proprietari del locale. «Lo Xanax è uno tra i più longevi party undeground della città, uno spazio dove si fondono l’elettronica, la dub e l’indie», gli fa eco Gabriele Guazzo, dj e socio, che rivendica quei generi musicali con orgoglio, spiegando come non siano mai scesi a compromessi riguardo cosa suonare. In un seminterrato con pareti piastrellate di bianco — che ricordano la scenografia della metro londinese — decine di ragazzi sembrano apprezzare ciò che viene pompato in console. Capita spesso di sentirli parlare in inglese, la lingua dell’Erasmus, mentre si sorseggia uno dei moscow mule più buoni di Torino. I loro volti vengono catturati dal fotografo ufficiale dell’evento e, il giorno dopo, saranno scelti con cura coloro i quali compariranno sulla pagina Facebook. Nel 2017, anche questo è parte integrante dei club: mettere in vetrina la propria clientela. Le foto dello Xanax hanno chiaramente un proprio codice visivo: il flash accentua il contrasto, mentre i tatuaggi e la posa spontanea sono un valore aggiunto per finire in testa alla galleria. Ma siamo solo all’inizio, la settimana è ancora lontana dal finire.


«Una location molto europea», dice Enrico Piva parlando del Bunker, «sembra di stare in una periferia berlinese e invece scopri di stare a Barriera».  Il contesto suburbano della capitale tedesca è l’epicentro dell’underground europeo. Prima delle due il Rave On, l’appuntamento del venerdì di We play the music we love, non decolla. Si attende che il locale si riempia indugiando tra il dentro e il fuori, conversando incuranti delle pareti che vibrano sotto la forza della techno. Marcello Tagliaferro, in arte dj Marcelo Tag, delimita la cornice musicale e il target delle serate di We Play: «Le barriere tra techno, house e deep house sono crollate, le influenze house hanno ammorbidito alcuni generi di techno». Capita di trovare al Bunker ogni genere di clienti: «Dal 20enne radical chic al professionista 40enne, ci sono tanti tipologie di persone, tanti stili di vestire. Non è bello?». Molti considerano il format Rave On fortemente basato sulla presenza di un ospite, spesso internazionale. «Non sono d’accordo», dice Marcello, «puntare sul nome è un rischio, entri in competizione con le altre organizzazioni e non è detto che sarai sempre tu a spuntarla. Il brand di We play si basa anche su dj resident forti e affezionati».


Enrico Piva parla di Shout! paragonandola al Real Madrid: «Staff grande in un posto enorme. Lo Chalet è la discoteca di Torino per eccellenza». Sabato sera prima dell’apertura il locale è pieno soltanto di ragazze, circa cinquanta, tutte bellissime: sono pr, addette al volantinaggio, al presidio del privé. La serata prevede una scaletta di tre dj resident per aprire il set di Sasha Carassi, un tipo orecchiabile di techno che piace a un pubblico più giovane. All’una di notte ci sono 1200 persone che ballano. L’età media è di poco più di vent’anni: indossano cappellini degli Yankees e canotte delle squadre Nba, come in un Bunker in versione “light”, mentre gli habitué di Shout! incontrano la clientela tradizionale dello Chalet, che, per il resto della settimana, ritorna a serate più classiche.

Quando arriva la domenica pomeriggio si ha la sensazione di aver terminato un lungo viaggio. Le luci e gli odori si addensano, ricostruendo i mondi incontrati durante il cammino. Le volanti della polizia, le risse, le droghe sintetiche, i privé, i long island, tutto riaffiora mentre si recuperano le energie sul divano di casa. Il lunedì incombe, bisogna raccattare i pezzi e prepararsi a una nuova settimana. Ma basta tenere duro solo qualche giorno, giovedì si ricomincia.

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