I dipendenti diventano proprietari e tentano, così, di salvare l’azienda, la “loro” azienda, dal fallimento. Dall’inizio della crisi economico-finanziaria a oggi queste azioni – note in inglese con l’acronimo WBO (Workers BuyOut) e nate in Sud America con le Empresas Recuperadas por sus Trabjadores – si sono moltiplicate in tutta Europa e anche in Italia. Spesso le pur numerose esperienze delle varie cooperative di lavoratori, circa un centinaio in Italia dal 2007, non erano messe in relazione tra loro, non era stata creata una rete.
Ma grazie al lavoro del Collettivo di Ricerca Sociale, è nata per la prima volta una “Rete italiana delle imprese recuperate”: una piattaforma digitale di consultazione e valorizzazione delle esperienze sia per le imprese già recuperate dai lavoratori sia per le aziende in crisi.
Il Collettivo ha presentato il 15 maggio all’Unione Culturale “Franco Antonicelli” il frutto di 6 mesi di lavoro effettuato da lavoratori precari come ricercatori universitari, collaboratori di piccole e medie aziende e giornalisti freelance che credono nella cooperazione e nel mutuo soccorso.
L’obiettivo è permettere ai lavoratori che vogliono recuperare l’impresa di farlo il più velocemente possibile: “Di solito i tempi di recupero sono lunghi, spesso tutto accade in maniera casuale, non strutturata e c’è un taglio dello stipendio del 20%”, spiegano i fondatori del collettivo Matteo Amatori, Andrea Aimar e Leonard Mazzone.
Il caso più noto in Piemonte è quello della Cartiera Piniroli di Roccavione, recuperata nel 2015 dopo il fallimento del 2012, che a febbraio ha scritto ai lavoratori Embraco per raccontare la sua storia e che tra pochi mesi potrà garantire il pieno stipendio a tutti i dipendenti della cooperativa.
Nella mappa pubblicata sul sito la maggior parte delle imprese aderenti alla rete si trova nel centro-nord Italia, con una forte presenza in Emilia-Romagna e Toscana, regioni culturalmente vicine all’esperienza delle cooperative, favorite anche da un regolamento regionale più sensibile alla problematica. Infatti i responsabili della Rete aggiungono: “Vogliamo raccontare le loro storie, il loro protagonismo. Ma anche informare sui singoli regolamenti regionali e sulle possibilità di supporto da parte di istituzioni, sindacati o banche come Banca Etica”. Per questo motivo nel sito c’è una sezione dedicata ai passaggi necessari a diventare cooperativa, che fornirà le informazioni legislative aggiornate e gli strumenti finanziari in grado di accompagnare la trasformazione in cooperativa delle imprese in crisi e a rischio di fallimento, a partire dalle indicazioni della legge Marcora del 1985. Sono segnalati anche i possibili ostacoli: “Vanno mostrati per evitare problemi già incontrati, come la formazione delle competenze manageriali, che spesso mancano in questi casi”, chiarisce Aimar.
Per dar vita al progetto presentato il 17 aprile, il Collettivo ha vinto il bando “Forza!” di Sinistra Italiana del valore di 3 mila euro (“Ma non è una questione partitica, anche un aiuto da fondazioni private va benissimo”, dice Amatori), usati per l’organizzazione del sito e per il pagamento delle spese per chi verrà il prossimo 26 maggio, sempre all’Antonicelli, a raccontare la sua storia da diverse parti d’Italia. Tra le imprese recuperate piemontesi, i ragazzi del Collettivo vogliono coinvolgere anche la Corner di Pont Canavese, la Nuova Crumiere di Villar Perosa e la CIP di Sommariva del Bosco. Anche per la questione economica, la creazione del sito è solo un punto di partenza: “Il gioco vero, la partita inizia adesso: deve partire una rete di collaborazione”, dicono all’unisono. E la tappa del 26 maggio può essere decisiva per il risultato finale.