Oltre il confine delle sbarre, il teatro in carcere al Salone del Libro

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“Il teatro ha il potere di andare oltre il pregiudizio e lo stereotipo, di ridare dignità a persone a cui il carcere impedisce di rimettersi in gioco e di rivedere una parte di sé”. Sono le parole di Grazia Isoardi, regista dell’associazione “Voci Erranti”, che dal 2002 dirige il laboratorio teatrale del carcere di Saluzzo.

Il confine, tema scelto per la trentesima edizione del Salone del Libro, è anche quello delle sbarre, simbolo di reclusione e allontanamento dalla società. “Il carcere italiano non è adeguato all’articolo 27 della Costituzione” lamenta Bruno Mellano, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Piemonte. Troppo spesso i principi di umanità della pena e rieducazione del condannato vengono ignorati. Una situazione che nel 2009 ha portato l’Italia a essere condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per violazione del “divieto di trattamenti inumani e degradanti”.

“C’è l’esigenza di una esecuzione penale e una carcerazione diverse” dice Mellano. Una questione complessa, che i laboratori teatrali non hanno la pretesa di risolvere ma quantomeno di affrontare. “Il teatro”, spiega ,“è il bandolo di una matassa intricata e certe volte drammatica: la questione dei suicidi in carcere è nota, tra i detenuti ma anche tra gli agenti della Polizia Penitenziaria, il Corpo di Stato con la più alta percentuale di suicidi”.

Dalla prima esperienza di detenuti-attori, il 5 luglio 1982, con uno spettacolo nato a Rebibbia, i laboratori teatrali in carcere si sono moltiplicati. Oggi sono oltre cento le compagnie che lavorano nei 191 istituti penitenziari italiani e che operano per trasformare iniziative accolte dalle amministrazioni carcerarie come passatempo in strumento di recupero. “Chi fa teatro in carcere torna a delinquere molto più difficilmente” osserva Valeria Ottolenghi, membro del Coordinamento nazionale Teatro e carcere, “gli spazi e i tempi speciali di questo luogo si traducono in esiti altrettanto speciali. E sempre più di qualità”.

Il regista Mimmo Sorrentino ha portato le detenute in regime di alta sicurezza della Casa di reclusione di Vigevano sul palco del Teatro Stabile di Torino con lo spettacolo “L’infanzia dell’alta sicurezza”. “Quelli del carcere non sono teatri stabili, sono instabilissimi” ironizza. Le difficoltà infatti ci sono, come nota anche Grazia Isoardi: “Si tratta di attivare un laboratorio teatrale in una struttura dove anche l’architettura è punitiva, i tempi sono fermi, le persone cambiano per i trasferimenti e il personale non vede di buon occhio il progetto”.

I laboratori teatrali in carcere vanno nella direzione delle misure alternative, favorendo il reinserimento sociale del detenuto. “Non solo attori” precisa Isoardi “ci sono tante maestranze. Persone che imparano un mestiere spendibile all’esterno”. Il teatro dunque può aiutare a superare il confine tra esterno e interno, ricordando che “parlare di carcere è parlare di società, non di qualcosa di estraneo”, puntualizza il direttore della Casa di Reclusione di Saluzzo, Giorgio Leggieri. Un lavoro di innesto tra fuori e dentro di cui tutti beneficiano. In primo luogo i detenuti. Alle donne di Vigevano impegnate al Teatro Stabile, il magistrato di sorveglianza ha concesso un permesso di “necessità con scorta”. Una decisione significativa, che definisce la cultura necessaria e rimuove gli ostacoli a tale necessità. Poi il teatro, che in questo modo smette di essere autoreferenziale per “abitare la città”. Ma anche, e soprattutto, l’intera società. “In quanto cittadini” conclude Grazia Isoardi “dobbiamo tenere presente che c’è un dopo, che la pena finisce e i detenuti escono dal carcere. Pensare al come farli uscire è fondamentale: una persona privata della sua dignità sarà più arrabbiata di prima”.

GIORGIA GARIBOLDI