Le parole sempre soppesate, uno stile lucido e ironico, le nuvole di fumo che avvolgevano i suoi monologhi. Umberto Eco è stato questo e tanto altro. A nove anni dalla scomparsa del filosofo nato ad Alessandria, i suoi contributi ancora oggi arricchiscono di spunti di riflessione: dalle ficcanti bustine di Minerva fino alle granitiche teorie semiologiche. Per non parlare delle sue memorabili lezioni in aula: pagine di cruciverba disposte con cura sulla cattedra e poi via a parlare per ore e ore di linguaggio, società e cultura. Proprio tra quei banchi, c’è passato anche Massimo Leone, professore di Filosofia della Comunicazione e Semiotica della Cultura dell’Università di Torino.
Professore, qual è il suo ricordo di Umberto Eco?
“Ho seguito le sue lezioni e ci siamo molto avvicinati quando nel giugno 2015 ho avuto l’onore di conferirgli una laurea honoris causa. Visto che il professore si era già laureato in Filosofia all’Università di Torino, gli attribuimmo una laurea magistrale in Comunicazione, Cultura e Media. Al momento della lettura della motivazione in latino, ero molto emozionato”.
Come si racconta la sua figura?
“Umberto Eco è stato il grande filosofo della ragionevolezza degli ultimi due secoli, forse il più grande. Nell’ambito della semiotica, ha sempre incoraggiato una mezza via tra l’interpretazione personale e la forza dei limiti di un testo. Il suo è un pensiero di grande libertà, ma anche di necessità: ci ha resi liberi davanti allo stesso testo, ma anche messi in guardia davanti quel che ci circonda. Basti pensare ai suoi interventi lungimiranti sulle fake news e le teorie del complotto”.
Quando Eco parlava di media, ha dato vita a letture che ancora oggi alimentano i dibattiti accademici e non.
“Le sue analisi sono molto attuali, però il mondo della comunicazione è in continua evoluzione: basti pensare al fatto che per le giovani generazioni la televisione non rappresenta il media di riferimento. È cambiato tutto dalla pubblicazione di grandi libri come ‘Fenomenologia di Mike Bongiorno’ dato che vedremo circolare sempre più prodotti culturali che non sono fabbricati da esseri umani, bensì da algoritmi e intelligenza artificiale. D’altra parte, ci sono anche le esigenze di comprendere, interpretare, fare comunità, tipiche dell’umanità”.
Qual è l’eredità del filosofo?
“Umberto Eco ci ha lasciato un parco naturale del pensiero, ancora tutto da esplorare. L’omaggio più grande nei suoi confronti è di non mummificarlo o metterlo sul piedistallo, ma farne vivere lo spirito critico. Senza dimenticare una collezione di saggi e romanzi d’inestimabile valore”.
Secondo lei, le persone continueranno a leggerli?
“Assolutamente. ‘Il nome della rosa’ è un libro diffuso globalmente per più motivi: non solo ha creato un genere innovativo, ibrido, talvolta scopiazzato malamente da autori come Dan Brown, ma ha un messaggio intrinseco profondo, secondo cui c’è umanità finché riusciamo a coltivare il senso in società. Una volta abbandonata, diventiamo macchine o viviamo in una società sgradevole. Infine, fra quelle pagine emerge l’ironia, ben diversa dal sarcasmo o il trolling, visto che riesce a scoprire l’essenza di una persona”.