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Riccardo Beltramo: scelte per un turismo sostenibile

I problemi della montagna d’inverno si risolvono pensando alla “montagna tutto l’anno”. Il cambiamento climatico non è rilevante solo nei mesi invernali e va considerato quando si ragiona sulla sostenibilità economica e ambientale della montagna. Riccardo Beltramo, docente del corso di laurea magistrale in Georisorse e gestione ecosostenibile d’impresa di UniTo, propone un’analisi più ampia del problema (da scoprire nel primo numero di Futura magazine), fra i costi della neve artificiale d’inverno e il dissesto idrogeologico d’estate. Coniugare sostenibilità e industria del turismo si può, facendo delle scelte.

Quali sono le prospettive dello sport invernale e del turismo invernale in questo momento?

Ci siamo concentrati sull’inverno per quanto riguarda le nevicate, quindi la neve naturale. Però ci sono aspetti connessi ai cambiamenti climatici che riguardano il dissesto idrogeologico, la stabilità dei sentieri, la stabilità di fondamenta per strutture ricettive: il cambiamento climatico non è soltanto rilevante d’inverno, ma tutto l’anno. Detto questo, lo slittamento delle nevicate, sia nel periodo, sia nell’altitudine, non riesce a conciliarsi con il fattore economico. Le stazioni sciistiche di solito puntano a raggiungere una buona quota del loro fatturato annuale proprio nel periodo natalizio, quando adesso, in generale, non c’è più neve naturale sufficiente, a volte neanche per riuscire a sparare quella artificiale, fondamentale nelle stazioni localizzate fra i 1.200 e i 1.500 metri di altitudine. Tutto ciò coinvolge diverse realtà: oltre alla destinazione turistica, i prodotti utilizzati, le filiere agricole, l’industria dello sci partendo anche dall’abbigliamento.

Il climatologo Luca Mercalli propone un modello più flessibile, che segua l’andamento del clima, senza adattarlo alle esigenze economiche. Secondo lei è sostenibile?

Guarderei al mondo reale, evitando di proporre soluzioni inattuabili. Ci sono fattori che determinano l’apertura e la chiusura degli impianti sciistici come i contratti lavorativi o gli investimenti in impianti, mezzi, attrezzature che vengono ammortizzati basandosi su prospettive temporali precise. Flessibilizzare qualcosa in funzione di condizioni esterne, non prevedibili, può essere un’idea, ma va circostanziata. Il tema è la diversità che si può creare fra gruppi con grandi capitali e piccole stazioni che sopravvivono solo per i volontari. Alcuni gruppi si aggregano, come è successo a Bardonecchia e Sestriere: è l’unico modo per disporre di capitali significativi per gestire un certo flusso turistico. Una soluzione è diversificare: gli stessi impianti di risalita possono essere impiegati in estate, rendendo quei luoghi più accessibili.

Il futuro del Piemonte passa dal turismo internazionale o dall’incentivo a un turismo di prossimità?

Queste due cose potrebbero non per forza escludersi a vicenda. Il primo tipo, internazionale, ha bisogno di capitali, energie e risorse. Il secondo, più lento, porta a conoscere le radici del territorio, i prodotti e la storia. Il tutto è sostenibile solo se si guarda strettamente alle risorse impiegate. La differenza sta anche nelle proposte che si fanno ai turisti. Per le grandi stazioni, un turista cerca un “divertimentificio”, che limiti la noia. Nuovi impianti di risalita che evitino code, di quelli che non fermano neanche i tornelli. Dall’altra parte c’è un diverso tipo di turismo che può coesistere con altre concezioni. Locale e internazionale non devono per forza essere in concorrenza.

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