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Al Museo del Grande Toro la passione non ha età

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di Valerio Barretta

«Se ripenso ai funerali del Grande Torino, mi viene ancora la pelle d’oca». Parole di Paolo Scotto, che in effetti le pronuncia con gli occhi lucidi. Classe 1935, oggi è una guida del Museo del Grande Toro e della Leggenda Granata. Potrebbe godersi la pensione, e invece dà una mano in questo luogo di memoria, se può. Ci sarebbe già motivo di sorprendersi, ma ancora non è tutto: Paolo è un volontario, non percepisce compenso. È una guida del museo solo per la passione granata.

Paolo Scotto, classe 1935, guida del Museo del Grande Torino, situato a Grugliasco
Paolo Scotto, classe 1935, guida del Museo del Grande Torino, situato a Grugliasco

Passione che gli è nata sin da piccolo: ogni domenica, già a undici anni, sostava davanti ai cancelli del Filadelfia, lo stadio del Grande Torino. “Dai gagno! Entra!”, gli diceva in dialetto il bigliettaio. E così Paolo vedeva giocare i suoi idoli. Ma solo fino al 4 maggio 1949. L’aereo che si è schiantato a Superga non solo ha privato il calcio di una delle più grandi squadre della storia. Ha anche tolto all’Italia del dopoguerra un motivo di riscatto. «Il giorno dei funerali ero a piazza Castello, dove partirono le bare. La cosa che più mi impressionò fu il silenzio assoluto della folla. Si sentiva solo il rumore dei camion che trasportavano le salme». Da allora, ogni 4 maggio Paolo sale a Superga, per onorare la memoria del suo Torino: «È un giorno sacro, in 67 anni solo due volte non ci sono andato».

Il silenzio dei funerali proseguì al Filadelfia durante la prima partita del dopo-Superga, quella contro il Genoa. Almeno per i primi quindici minuti. Una sorta di “quarto d’ora granata” alla rovescia. «Poi qualcuno cominciò a chiamare i giocatori con quelli caduti a Superga: “Dai Mazzola! Dai Gabetto!”, in base al numero che avevano sulla schiena».

Questi e altri ricordi affiorano nella mente di Paolo. Ripercorrono la storia granata. Una storia che, dopo il 1949, ha forse vissuto più bassi che alti. Sicuramente, ha incrociato le pieghe di un destino maldisposto. Nel 1967, Gigi Meroni, il calciatore più talentuoso del Torino, morì in un incidente stradale che coinvolse quello che poi sarebbe diventato presidente della squadra, Attilio Romero. Sotto la sua guida, nel 2005, il Torino fallì, e ripartì da Urbano Cairo. «Soffrire è nel nostro Dna», dice Paolo. «Cercano di farci morire, però continuiamo a esistere. Faremo leggermente ombra, e questo disturberà qualcuno».

Sotto la presidenza Cairo, i risultati sono migliorati: il Torino si attesta stabilmente nelle zone medio-alte della classifica. Eppure, Paolo non risparmia una stoccata al presidente: «Se continua a vendere i nostri migliori calciatori, non saremo mai competitivi”. E capirebbe Belotti nel caso andasse via: “Fa male dirlo, ma è troppo bravo per restare al Torino». Per un tifoso che ha visto Valentino Mazzola, non è un complimento da poco. Vero, “Gallo”?

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