Nei cantieri italiani, ogni due giorni muore un operaio. Un dato allarmante che ha portato i lavoratori edili dei sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil a scendere in piazza il 13 novembre a Roma. In effetti tra le statistiche stilate dall’Inail e relative all’anno 2020, le morti sul lavoro registrano un picco nel settore delle costruzioni: 149 le denunce di infortunio con esito mortale, con un aumento del 13% rispetto al 2019. Ma numeri tristemente simili si ritrovano in altre attività: il trasporto e il magazzinaggio con 144 denunce, la sanità e l’assistenza sociale con 108, la fabbricazione di prodotti in metallo, con 42. In totale sono 1.538 le denunce d’infortunio con esito mortale per il 2020: il 27,6% in più rispetto al 2019. Ma poi c’è il mondo sommerso del lavoro nero – specie nei cantieri e nel lavoro agricolo – che non è rilevato dalle denunce Inail e rende il dato delle morti sul lavoro una sottostima.
“Perché si continua a morire? Perché manca la cultura della sicurezza in alcune aziende: è evidente che non c’è il rispetto delle regole”. Marco Bazzoni, operaio metalmeccanico e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, è perentorio sui primi responsabili delle morti sul lavoro. E aggiunge che “i controlli non sono sufficienti per far rispettare queste regole”. I numeri Inail fanno emergere una verità scomoda: per molti datori garantire sicurezza in azienda è un costo. Quindi si punta sul sistema delle verifiche ispettive, per capire se i dispositivi di protezione individuale (dpi) sono sufficienti e adeguati, se i lavoratori sono informati sui rischi che corrono, se i macchinari sono correttamente utilizzati e sottoposti a revisione periodica.
Tra le novità del decreto legge del governo che integra il Testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro del 2008, c’è il doppio canale di controllo delle aziende sulla normativa antinfortunistica: alle verifiche dell’Asl competente per territorio si aggiungono quelle dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che finora controllava solo nei cantieri. Più competenze per l’ente vuol dire più assunzioni e in arrivo se ne prevedono poco più di mille per il 2021. Ma negli ultimi dieci anni c’è stato un dimezzamento dei tecnici per la prevenzione delle Asl: da 2.500 sono passati a 5 mila. “Così i controlli potrebbero sovrapporsi – prosegue Bazzoni -, era meglio garantire maggiori assunzioni di persone che hanno fatto le verifiche finora, ossia di tecnici delle Asl. Sembra si sia fatto un passo indietro, perché c’è il rischio che in qualche azienda ci sia il doppio dei controlli e che in altre non ci vada nessuno”.
Il decreto fa piccoli passi sul lato delle sanzioni: se con i controlli si scoprono violazioni gravi in ambito antinfortunistico, l’Ispettorato nazionale del lavoro può emettere un provvedimento di sospensione dell’attività aziendale. Per riprendere la produzione bisogna adeguarsi alle norme sulla sicurezza e pagare una sorta di multa. “Questa è una buona misura, ma non è immediatamente efficace, perché ci vogliono i provvedimenti attuativi per capire in quali ipotesi scatterà la sospensione”, dice Bazzoni.
Ma è possibile trasformare un costo – l’adeguamento alla normativa antinfortunistica – in un incentivo per le aziende? Sì, con una sorta di “patente” per le imprese virtuose, che era anche stata prevista dal Testo unico del 2008, ma mai attuata. “Non se n’è fatto nulla, ma sarebbe un modo efficace per contrastare le morti sul lavoro”. Specie in ambito edilizio dove, se il Testo unico venisse finalmente attuato, le aziende che accumulano penalità sarebbero estromesse dal mercato: per fare un esempio, non potrebbero partecipare a una gara d’appalto.
L’adeguamento alle norme sulla sicurezza è un costo, ma per lo Stato lo sono anche i morti e gli incidenti sul lavoro. L’unico report circolante sul tema, dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro, quantifica i costi di incidenti e morti sul lavoro e malattie professionali, nella sola Italia, in 104 miliardi di Euro all’anno, pari al 6% del Pil. E anche questo dato è una sottostima, perché i costi degli infortuni e delle morti nel lavoro nero non sono quantificabili.