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Mohamed Bouazizi e la “primavera araba”, una stagione ancora viva

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Un evento è considerato l’origine della “primavera araba”, la stagione di rivolte che ha tentato di avviare un processo di transizione verso forme di governo liberali in alcuni paesi di Nord Africa e Medio Oriente.

Era il 17 dicembre del 2010 quando nella città di Sidi Bouzid, Tunisia, il giovane Mohamed Bouazizi decise di darsi fuoco davanti al governatorato dopo aver subito i soprusi di alcuni agenti di polizia. Un gesto estremo che scatena proteste di piazza in tutto il Paese e porta nell’arco di pochi giorni alla fuga del dittatore Zine Ben Ali in Arabia Saudita, dopo 24 anni di regime. Bouazizi morì il 4 gennaio 2011 per le gravi ustioni riportate, il suo atto di ribellione favorì il passaggio a una forma di governo più aperta: dal 2014 in Tunisia è in vigore una nuova Costituzione e lo stesso anno si sono tenute le prime libere elezioni presidenziali.

 Il gesto di Bouazizi è stato citato nel suo libro La ragazza di piazza Tahrir da Younis Tawfik, presidente del Centro culturale italo-arabo Dar al Hikma di Torino: “Ho visto in quel gesto una disperazione assoluta. Aveva scioccato l’opinione pubblica, nel mondo arabo non era mai successo niente di simile”. 

Dalla Tunisia le rivolte di piazza si sono allargate ad altri paesi, in particolare Egitto, Libia, Siria, Bahrein e Yemen. “I movimenti di protesta non sono arrivati all’improvviso o per caso” spiega Rosita Di Peri, ricercatrice universitaria in scienze sociali e relazioni internazionali all’Università di Torino. “Le società della regione MENA – che comprende Nord Africa e Medio Oriente – da decenni soffrivano per un tasso di disoccupazione elevato, soprattutto tra i giovani laureati, per un tasso di crescita gonfiato dai regimi per favorire gli investitori internazionali”. 

Tra tutti i paesi infiammati dalle rivolte, ormai quasi dieci anni fa, solo la Repubblica semipresidenziale della Tunisia ha avviato un percorso liberale, per quanto ancora incompiuto. In Egitto e Bahrein i tentativi di rovesciare la dittatura militare e la monarchia di Hamad Al Khalifa sono durati poco e hanno completamente fallito. In Libia, Siria e Yemen è andata molto peggio con le tremende guerre civili che ormai da anni dilaniano la popolazione di questi paesi. La “primavera araba” però non è una stagione chiusa. Nelle ultime settimane in Iraq, in Libano e in Algeria si sono registrate azioni di rivolta contro la corruzione e il dominio assoluto che i partiti integralisti impongono sulla scena politica: “C’è un’evoluzione continua. In Iraq ci sono già state centinaia di vittime” afferma Tawfik. “Il gesto di Bouazizi continua a essere un punto di riferimento: solo pochi giorni fa, in Libano, un manifestante ha cercato di uccidersi dandosi fuoco”.    

La professoressa Di Peri è dello stesso avviso: “Le rivolte della fine del 2019 hanno alla base le stesse rivendicazioni che hanno animato l’ondata del 2010-11: dignità, migliori condizioni di vita, smantellamento di una classe politica corrotta e correttivi per combattere la povertà. Occorre dunque considerare le rivolte come parte di un processo ancora in corso e in divenire”.

RICCARDO LIGUORI

LUCA PARENA