Migranti, sbarcare in Italia non è la fine del viaggio

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L’incontro Migranti, la storia di chi fa la differenza del Festival internazionale del giornalismo di Perugia, moderato da Marina Petrillo, non ha dato nuove visioni di un fenomeno noto dal 2013. “Lo sappiamo tutti, da più di vent’anni, quello che succede in quel mare”, comincia Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa reso famoso dal film-documentario Fuocoammare. “Le migrazioni non sono una situazione d’eccezione” ribadisce l’attivista di Baobab Andrea Costa. “Neanche l’accoglienza è una stranezza in Italia” sottolinea Carlotta Sami, portavoce di UNHCR per il Sud Europa. Non erano i fatti, ma le persone oggi sul palco a fare la differenza: domani torneranno a lavorare in mezzo ai migranti. Un impegno quotidiano costante era la forza delle loro parole e delle foto di Giulio Piscitelli, scattate dai gommoni insicuri.

 

Gli Italiani conoscono l’accoglienza, l’integrazione invece è complessa. Come si integra un uomo che ha affrontato anni di viaggio e di abusi? Come si integra una donna che è stata stuprata e privata di tutto? Affronta la traversata incinta di chi l’ha sequestrata, oppure è stata imbottita di anticoncezionali perché possa essere messa sulla strada una volta sbarcata. Chi si imbarca vede i rischi altissimi di naufragare, ma se si rifiuta rischia di essere ucciso: è la paura a spingerlo avanti. Il prezzo più alto lo pagano le donne, Bartolo lo sa meglio di chiunque altro perché è lui a raccoglierle, vive o morte, a Lampedusa. Sono loro a rimanere ustionate dal carburante, perché gli uomini le fanno sedere al centro, coi bambini in braccio, sistemandosi in equilibrio precario sul bordo. Una protezione che le condanna.

 

I profughi e gli Italiani che sono contrari al loro arrivo condividono la diffidenza. Tanto gli uni quanto gli altri faticano a comprendere il lavoro di volontari o di persone come Andrea Costa, attivista di Baobab a Roma. Perché i migranti sono abituati ad essere sfruttati economicamente in ogni tappa di un lungo calvario, sanno di avere un valore come merce. I secondi sono convinti che i 38 euro, il costo medio giornaliero di un profugo per lo Stato italiano, siano un altro caso di cattiva gestione dei soldi pubblici. Difficile recuperare fiducia e far capire il gesto gratuito a chi è stato allenato a una visione del sospetto.

 

L’accoglienza fatta di vestiti e un pasto caldo, inoltre, non è abbastanza. “Dieci milioni di turisti all’anno vengono a visitare Roma”, racconta Andrea Costa, “è strano che un ragazzo di 15 anni voglia vederla?”. Per questo organizza tour della capitale per i profughi e chiede psicologi, mediatori linguistici e culturali. O insegnanti, rilancia Benedetta Tobagi, autrice di un un reportage nelle scuole d’Italia: perché a scuola le persone cambiano. Gli alunni, ma anche i genitori di prima o terza generazione. Eppure lo Stato taglia i fondi destinati ad aree a rischio e progetti di integrazione: 50 milioni di euro nell’anno 2011/2012, ridotti a 18 lo scorso anno. Mentre gli studenti stranieri inseriti nel sistema scolastico sono aumentati del 20%. Se manca l’impegno concreto, il tema migranti diventa discorso vuoto.

CORINNA MORI