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“Una vita salvata viene prima di Salvini”. Viaggio nell’hub piemontese che accoglie i migranti

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Sono 230 i migranti ospitati oggi nel centro di accoglienza “Teobaldo Fenoglio” di Settimo Torinese: 100 nella parte Sprar, il servizio di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, il resto nel centro di transito. A luglio 2017 erano mille, tanto che la Croce Rossa, che dal 2008 gestisce la struttura da 32 mila metri quadrati, era stata costretta a montare tende d’emergenza per accogliere tutti. “La capienza massima sarebbe di 300 posti – spiega la responsabile del centro, Francesca Tomassetti – Abbiamo moltiplicato le forze per ospitare tutti. E’ stata dura, ma ce l’abbiamo fatta”.

Le criticità di un anno fa sembrano un lontano ricordo per i 56 tra volontari e dipendenti che lavorano al “Fenoglio”. Varcati i cancelli di quello che un tempo era l’ex villaggio degli operai Tav, domina il silenzio. Due ragazzi seduti su una panchina parlano tra loro, alcuni devono ancora uscire dalle proprie stanze, altri hanno già lasciato il centro per le attività di giornata. Il “coprifuoco” dura dalle 22 alle 7 del mattino: se non tornano, dopo 48 ore l’assenza diventa allontanamento volontario.

Gli ospiti della struttura sono soprattutto africani: vengono da Costa d’Avorio, Nigeria, Mali, Eritrea, Senegal, Somalia, Sudan. Ma anche asiatici, provenienti dal Pakistan e dal Bangladesh. Arrivano entro 48 ore dallo sbarco, su pullman noleggiati dal ministero dell’Interno. “Di solito qui a Settimo accogliamo una quota di migranti pari al 10% degli sbarchi – aggiunge Tomassetti – Poi ci vuole circa una settimana per ricollocarli nelle varie province del Piemonte”. Più complicato per le famiglie, visto che non tutti i centri sono organizzati per accogliere uomini, donne e bambini.

I badge distribuiti ai migranti in transito

L’ufficio smistamento è il cuore pulsante della struttura. A coordinare il lavoro c’è Anna Marchese, in costante contatto con le varie prefetture della regione. “Appena mettono piede all’interno del centro li sottoponiamo a uno screening medico completo di radiografia per valutare se hanno malattie come la scabbia e la tubercolosi – racconta Anna, che sorride con gli occhi pieni di passione per il suo lavoro – Dopo le analisi diamo a tutti un kit di prima accoglienza”. Si tratta di un sacchetto con beni di prima necessità: biancheria intima, dentifricio, spazzolino, tuta, t-shirt, carta igienica, shampoo, coperta e cuscino. Poi viene consegnato un badge con un numero, il loro unico documento di riconoscimento. Nell’ufficio di Anna campeggia una lavagna con alcune cifre: h4, 15525, 148000. Così vengono segnati i vari ospiti del centro. “Un metodo che ci semplifica la vita – puntualizza – A volte è impossibile organizzare le varie attività dei ragazzi. Per esempio, qualche giorno fa non trovavamo un ragazzo con la capigliatura rasta. Si era messo un cappello che copriva i capelli e quindi non l’avremmo mai riconosciuto”. A fianco della lavagna una scritta che è un mantra per i volontari. “Molto spesso le persone perdono più tempo a parlare che a fare”.

Chi arriva nel centro ha diritto a una telefonata al giorno, a chiunque desideri farla, per una durata di 5 minuti. Accanto agli uffici centrali, al mattino, c’è già la coda sotto il cartello “Call Center”. C’è Moussa, originario del Mali, che si trova nel centro da 20 giorni in attesa di ricollocamento. Attende con un sorriso, impaziente, saltellando sul posto. Dietro c’è Alissà, anche lui del Mali, è qui solo da tre giorni. Attorno a loro un’altra decina di persone aspetta paziente con il badge in mano: se i ragazzi sono riconosciuti dagli operatori, possono utilizzare i telefoni cellulari a disposizione e fare le chiamate. Nella sala risuonano lingue diverse: francese, inglese, maliano, nigeriano. A voce bassa, nessuno urla, tutti rispettano il vicino di telefonata. Si tratta di uno dei pochi luoghi di aggregazione. “In futuro vorremmo creare più momenti di condivisione tra i ragazzi – prosegue Tomassetti – Anche se è spesso difficile far convivere etnie e religioni diverse”.

Lo Sprar

Oltre al centro di transito, la Cri gestisce in questo spazio anche uno Sprar. “Qui solo il 10% è composto da richiedenti asilo, gli altri sono già titolari del diritto di rifugiato o altro” spiega Giuseppe Vernero, il responsabile. “Principalmente facciamo attività di formazione: lo scorso anno ci sono stati cinque ragazzi che hanno frequentato la scuola di panettieri, cinque persone formate per l’uso di macchine utensili, due come decoratori e due come elettricisti”. Per chi aspetta la richiesta d’asilo l’attività prevalente è la preparazione alla commissione. Per tutti gli altri c’è l’inserimento lavorativo, abitativo, formativo. “Molti imparano l’italiano bene ma hanno anche sete di sapere – aggiunge Vernero – L’altro giorno un ragazzo camerunese mi ha detto che vorrebbe imparare il latino. Il padre è della Mauritania e lui sostiene che il latino per noi è come l’arabo antico a casa: non può non saperlo”, dice sorridendo. Tanti altri si integrano in diversi modi: lo sport è uno di questi. Lo Sprar del Fenoglio ha infatti una squadra di calcio che ha vinto il torneo Football Communities per accedere al Balon Mundial 2018. E in bella vista su un mobile c’è proprio la coppa, esibita con orgoglio insieme con la foto di gruppo del team.

Le coppe della squadra di calcio

Restoring Family Links

Un’altra delle attività del centro riguarda la ricerca di familiari e persone disperse o morte durante il tragitto verso l’Italia. Il responsabile al “Fenoglio” è Raffaele Mundi, da dieci anni volontario della Cri. “Questo servizio, uno dei più antichi della Croce Rossa Italiana, è interamente curato da volontari con una formazione specifica – spiega -. L’Rlf era legato ai periodi bellici o di carestia, per riavvicinare le famiglie separate e disperse”. Oggi viene utilizzato nell’ambito del contesto migratorio. “Dopo i due tragici naufragi del 3 e dell’11 ottobre 2013 abbiamo attivato un servizio reperimento e riconoscimento delle persone annegate in mare al largo della Sicilia. Continuiamo con questo lavoro ogni giorno ma è molto delicato. Bisogna aiutare queste persone, ma anche tutelare la loro privacy, stare attenti ai dati che vengono diffusi”.

Il servizio viene attivato solo su richiesta dei parenti: spesso in fase di recupero in mare si avvicinano alle imbarcazioni navi di due o tre Ong diverse. Salvano le persone, ma non conoscono i loro legami. Quindi, le famiglie vengono separate e fanno percorsi diversi. “Grazie a questo servizio proviamo a ricongiungerle: naturalmente solo se sono parenti, non valgono gli amici. A volte avviene anche con i minori: è un percorso molto difficile e spesso lungo, ma è una delle attività della Croce Rossa che, dal punto di vista umano, riempie di più il cuore”. E le difficoltà a livello nazionale? La posizione del governo? “Salvini non ci ferma, anzi, ci rende più forti. Ci dà una spinta in più per salvare vite: l’umanità prima di tutto”. Le esternazioni del ministro dell’Interno sono lontane. Che ci siano mille o 200 ospiti, il centro Fenoglio guarda avanti con un unico obiettivo: aiutare il prossimo.

CAMILLA CUPELLI
FEDERICO PARODI