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“Mi sono sentito abbandonato dallo Stato”, intervista a Giuseppe Costanza, sopravvissuto a Capaci

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Questa mattina, giovedì 21 novembre, Giuseppe Costanza era al Centro Congressi Sacro Volto di via Val della Torre, dove ha parlato a una platea costituita da molti studenti provenienti da diversi istituti torinesi. Durante l’incontro, promosso dall’associazione “Ok Parliamone” di Pinerolo, ha risposto alle domande dei più giovani, incuriositi da una storia tanto terribile quanto recente.   

Parla l’autista giudiziario di Giovanni Falcone, da anni impegnato a raccontare la sua storia e la memoria del magistrato ai ragazzi di tutta Italia. “Ho fiducia nelle nuove generazioni. C’è voglia di speranza, non di complicità”.  

Sopravvissuto a una strage che ha segnato l’Italia e gli Italiani. Il 23 maggio 1992 a Capaci c’era anche Giuseppe Costanza: era a bordo della Fiat Croma guidata da Giovanni Falcone. L’auto è saltata in aria con il tritolo di Cosa Nostra. Morirono il magistrato e la compagna Francesca Morvillo, oltre a diversi agenti della scorta presenti in altre vetture. L’autista giudiziario di Giovanni Falcone – lo ha accompagnato tutte le mattine in tribunale dal 1984 al 1992  – riportò ferite gravi. Ma riuscì comunque a sopravvivere al terribile eccidio. 

Da parecchi anni l’autista del magistrato più temuto dalla mafia porta la sua testimonianza e la sua storia in giro per l’Italia: incontra i ragazzi e le ragazze perché “ha fiducia nelle nuove generazioni”. 

Quanto è importante coinvolgere i giovani nella lotta alle mafie?

Ripartire dalle scuole è fondamentale. Io ho fiducia nel cambiamento generazionale. Oggi c’è più consapevolezza del pericolo rappresentato dalle mafie. Bisogna parlare con i giovani, perché si tratta soprattutto del loro futuro, non del mio. Se vogliamo cambiare le cose in questo paese dobbiamo avere fiducia nei ragazzi.  

Lei ha ripetuto spesso di sentirsi abbandonato dopo la strage di Capaci. Lo Stato l’ha isolata?

Sì, essere sopravvissuti a quella strage è stato qualcosa di terribile. Se vuoi essere ricordato in Italia devi morire. Mi sarei aspettato un trattamento più umano da molte persone. Gli uomini politici che ci rappresentavano all’epoca, a Roma – alcuni di loro siedono tuttora in Parlamento – non hanno avuto alcun riguardo verso di me.

Che ricordo ha di Giovanni Falcone?

Era una persona eccezionale. Si impegnava tantissimo per rendere questa società più giusta. Per il lavoro che faceva sacrificava una parte importante della sua vita e della sua libertà, girava sempre con gli uomini della scorta. Ma soprattutto non si lamentava, non aspettava gli altri. Nella sua attività giudiziaria lui proponeva e gli altri lo seguivano a ruota. Questo era Giovanni Falcone. 

Lei ha detto che “L’Italia sarebbe stata diversa se Falcone fosse ancora vivo”. 

Certamente. Lui sapeva “dove mettere le mani”, conosceva bene la materia. La mafia aveva paura di lui. Non si sarebbe fermato nemmeno di fronte alle connivenze e alle collusioni di una parte dello Stato. Oggi il nostro paese potrebbe essere molto diverso. 

Perché la Commissione Parlamentare Antimafia l’ha voluta ascoltare soltanto qualche mese fa? 

È dal 1989 che provo a incontrare i membri dalla Commissione: avevo fatto una richiesta per essere ascoltato. Non ho ricevuto risposte per tutti questi anni. Non mi hanno voluto sentire in audizione fino a oggi. Forse mi hanno voluto ascoltare perché sono cambiate le generazioni, anche all’interno della classe politica. In Parlamento adesso ci sono persone che vogliono arrivare vicine alla verità, ai tanti silenzi che ancora circondano Capaci e altre stragi. C’è voglia di speranza, non di complicità.   

RICCARDO PIERONI