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In prima linea nelle Rsa: un’infermiera di Medici senza Frontiere a Lodi

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Per fronteggiare un’emergenza sanitaria come quella attuale, c’è bisogno di chi le epidemie le affronta da tempo. Per questo Medici Senza Frontiere lavora a fianco degli operatori sanitari negli ospedali del lodigiano e nelle strutture per anziani delle Marche. “Come organizzazione medico-umanitaria abbiamo messo a disposizione della taskforce del governo italiano la nostra esperienza nella gestione di epidemie, come l’Ebola o il morbillo” si legge sul sito ufficiale. 

 

 

 

[aesop_image img=”http://futura.news/wp-content/uploads/2020/04/elena-1.jpg” panorama=”off” imgwidth=”40%” credit=”Credit: Medici Senza Frontiere” align=”right” lightbox=”off” captionsrc=”custom” caption=”Elena Butta, infermiera di MSF” captionposition=”right” revealfx=”off” overlay_revealfx=”off”]

Con 11 anni di esperienza come infermiera, di cui 9 in Italia, Elena Butta è un’operatrice umanitaria di Medici Senza Frontiere dal 2017: “Non avevo mai lavorato con MSF in Italia prima d’ora. Sono stata in Afghanistan, in Sierra Leone, in Congo e in Sud Sudan. Qui a Lodi ci sono due équipe distinte: una che si occupa dell’attività puramente ospedaliera e l’altra delle attività sul territorio. Io sono in questa seconda équipe”.

Elena racconta che si occupa del supporto nelle Rsa, della formazione dello staff sulle buone pratiche di controllo e prevenzione delle infezioni, e dell’aiuto a coloro che fanno tele-sorveglianza. Si tratta di un progetto di monitoraggio nato dalla collaborazione con alcuni medici di pneumologia e la società di software Zucchetti. La piattaforma controlla i parametri vitali dei pazienti che hanno delle forme di Covid-19 di solito con diagnosi clinica, non considerati gravi. Vengono dotati di un saturimetro e compilano due volte al giorno un questionario di auto valutazione sui sintomi e sullo stato generale e la frequenza respiratoria. Gli algoritmi della piattaforma generano degli allarmi che giungono alla centrale operativa, dove ci sono equipe di monitoraggio di Codogno, Lodi e Sant’Angelo che intervengono se necessario. “Questi servizi creano un supporto molto importante per quei pazienti che sono a casa e noi di Msf abbiamo aiutato lo staff nello sviluppo degli algoritmi e nelle attività di tutoraggio”.

Elena spiega che spesso molti telefonano al call center creato ad hoc per l’emergenza e raccontano le proprie drammatiche storie: si tratta di persone sole, di famiglie in cui si sono ammalati tutti, di anziani che vengono isolati per la loro sicurezza. “Questa sensazione di solitudine nelle persone a casa mi ha molto colpito”. L’ha colpita anche la difficile situazione nelle Rsa, che Elena ha visto da vicino: “Bisogna prima di tutto pensare che non si tratta di ospedali, ma di strutture in cui delle persone anziane, soprattutto con malattie croniche, restano per tantissimi anni. È una situazione  totalmente diversa da un’ospedale, perché le persone ci vivono e le relazioni con il personale e con le famiglie sono molto più profonde. Questa componente affettiva ha fatto sì che lo staff si battesse ancora di più per cercare di proteggere gli ospiti. L’epidemia ha chiesto a queste strutture di cambiare completamente la loro impostazione, per diventare ospedali. Inoltre le persone anziane sono molto fragili, si aggrappano spesso alle loro abitudini, al loro ambiente, alle persone che hanno intorno. La sospensione delle visite dei parenti li ha destabilizzati ancora di più”.

Il personale con cui Elena ha collaborato ha sempre dimostrato ottime conoscenze: “Ciò che non era stato preso in considerazione erano proprio i meccanismi dell’epidemia, perché in Italia non se ne vede una da molto tempo. C’era e c’è molta conoscenza sui comportamenti legati alla malattia del singolo individuo, ma quando si tratta di epidemia è diverso. La medicina italiana è molto basata sulla cura della singola persona, quindi l’approccio è sul paziente. Con l’epidemia bisogna elaborare delle strategie per prendersi cura di tutti, ed è una cosa a cui il nostro sistema non è abituato. L’approccio dovrebbe diventare più di sanità pubblica”. Ma nel dramma, la luce: Elena racconta di quanto sia rimasta colpita dalla forza che le persone tirano fuori nei momenti di emergenza. “I coordinatori e il personale sanitario hanno cercato di fare il meglio con i mezzi a disposizione: ho visto molte cose tristi, ma altrettanti gesti straordinari di chi ha mandato avanti reparti col personale ridotto, di chi si è preso cura dei pazienti in situazioni davvero estreme”.

Con la sua esperienza internazionale, Elena non avrebbe mai pensato che proprio a casa sua, in Italia, avrebbe trovato un problema di approvvigionamento dei dispositivi sanitari e degli strumenti utili a gestire al meglio un’epidemia: “Siamo abituati a pensare di essere un sistema con  risorse quasi illimitate, e invece di colpo tutto è diventato un problema: i presidi, i posti letto, il numero di operatori. Ma in tutto questo ho visto tantissima voglia di trovare soluzioni per evitare che fosse un disastro completo”. Per esempio rivolgersi a chi, come Medici senza Frontiere, lotta da sempre contro le epidemie.

 

CHIARA MANETTI

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