Il sogno delle Olimpiadi nel 2020 cancellato da mesi di “silenzi e sirene”. Matteo Piano aveva conquistato il biglietto per Tokyo con la Nazionale di volley lo scorso agosto, ma il 24 marzo i Giochi Olimpici sono stati rinviati al prossimo anno. Troppo grave l’emergenza globale della pandemia di Covid-19 per poter disputare l’evento che ogni quattro anni chiama a raccolta il meglio del mondo sportivo. La successiva decisione della Federvolley di chiudere la stagione agonistica in anticipo ha poi trasformato questo 2020 a lungo sognato in uno spazio bianco. Una realtà dura da digerire per uno come Matteo, medaglia d’argento a Rio 2016, centrale della Powervolley Milano, innamorato dei Giochi e della vita di squadra. Come se non bastasse, da più di cinque mesi è alle prese con un infortunio al ginocchio. Per resistere ci vogliono una bella dose di intelligenza e pazienza, doti che non gli mancano. Insieme al suo carattere solare, provato ma non abbattuto da questo periodo difficile.
La #FIPAV ha decretato la conclusione definitiva di tutti i campionati pallavolistici di ogni serie e categoria.
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Come stai vivendo l’emergenza a Milano, una delle zone più colpite?
È dura. Ed è anche lunga. Da più di un mese ci toccano tante limitazioni dolorose. Ringrazio di essere potuto tornare a fare riabilitazione in palestra, così scandisco meglio i tempi della giornata. A casa è più difficile, circondato da silenzi e rumore di sirene. Penso a chi sta affrontando guai seri di salute e lavoro e a chi non ha nemmeno un posto dove stare: in questi momenti ti rendi conto che le difficoltà non sono uguali per tutti. Bisogna riflettere e cercare di cambiare qualcosa.
Una settimana fa la Federvolley ha deciso di chiudere la stagione. Tu e i tuoi compagni di squadra come avete metabolizzato questa decisione?
Siamo venuti a contatto con questa emergenza prima di tutti gli altri atleti. Siamo consapevoli di quello che ci sta accadendo intorno. Ci è dispiaciuto, ma era nell’aria. Credo che sia stata una decisione sofferta ma doverosa.
Che cosa hai provato quando il rinvio delle Olimpiadi è diventato ufficiale?
Sinceramente ci speravo, per il mondo intero. Ero incredulo di come si potesse pensare di fare le Olimpiadi in una pandemia. Era utopia: spostare atleti, staff, addetti ai lavori di tutto il mondo e tutti coloro che sarebbero venuti lì per l’occasione. I Giochi sono una festa e quindi mi auguravo che venisse presa la decisione di rimandare. Sono anche un po’ più tranquillo per il mio percorso di riabilitazione. Dovrei concluderlo il 26 aprile, ma mi sono allenato a lungo a casa ed è molto diverso rispetto ad avere a disposizione gli attrezzi. È bene riprendersi nel modo migliore.
Hai sempre detto di avere un ricordo stupendo dei Giochi di Rio 2016, ma anche lì hai dovuto fare i conti con un infortunio. Hai dovuto impegnarti per trovare il lato positivo?
È stata un’esperienza molto forte. Mi sono infortunato dopo la quinta partita e mi avevano dato poche speranze di rientrare in campo prima di due settimane. Invece in sette giorni mi sono ripreso. Per la finale ero in campo. Non da poter giocare tre set, ma ero pronto. È molto raro che uno riesca a rimettersi in piedi dentro un’Olimpiade. Non l’ho mai considerato tra gli infortuni più gravi, però in effetti è stato il più delicato: è accaduto nel momento meno indicato che ci potesse essere nella mia carriera e nella mia vita.
Pochi mesi fa hai pubblicato il tuo primo libro “Io, il centrale e i pensieri laterali“, scritto con la psicologa con cui collabori da anni. Una figura di questo tipo può essere utile soprattutto in questo periodo?
Credo proprio di sì. Per uno sportivo è difficile fermarsi, chi ha vissuto lunghi infortuni lo sa. Ma ora è ancora più difficile perché stare fermi da sani è molto peggio. Lavorare con la testa è fondamentale e se uno si trova in difficoltà può essere un aiuto. Questo periodo è comunque da sfruttare, il che non significa per forza riempirlo o fare tante cose. Significa che bisogna cercare di capirlo e imparare a gestirsi.
Negli ultimi anni hai portato avanti alcuni progetti anche fuori dal mondo dello sport, come stanno andando?
Direi bene, io e Luca Vettori abbiamo la nostra web radio Brododibecchi. Da pochissimo abbiamo lanciato un nuovo podcast, “Peste e corna”, per raccontare un po’ di storie di “corna”, imprevisti, problemi personali che possono essere capitati a chiunque, ma che si è riusciti a superare. Crediamo che in questo periodo sia molto utile ripercorrerli e raccontarli. Dalla web radio un paio di anni fa è nato il progetto di artigianato e abbigliamento Robedibecchi per cui collaboriamo con la sartoria di Torino Colori Vivi e la scorsa estate siamo stati in Congo. Dal 2014 in estate c’è poi il Revolution Volley Camp con i ragazzi. Un evento che mi riempie di gioia e mi piace davvero tanto, ma quest’anno non so se e come riusciremo a farlo.
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Hai già pensato a quale sarà la prima cosa che farai quando potrai tornare a muoverti più liberamente?
Tornerei a casa in campagna a Portacomaro, vicino ad Asti. Dalla mia famiglia e a contatto con la natura. Sembra poco, ma invece è una richiesta grande, non tutti hanno questo fortuna. Mi piacerebbe molto poter partire, l’ho fatto spesso per staccare da un periodo mentalmente intenso. So che sembra assurdo pensare che si debba staccare dalla quarantena, ma restare chiuso tra quattro mura in città non è facile. Sarebbe bello poter fare un viaggio, ma solo dopo aver riabbracciato tutte le persone a cui voglio più bene.