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“Il mare non è un muro, ma un mezzo di comunicazione”, la Sardegna di Marcello Serra al Salone del Libro

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Custodi di una storia antica o prigionieri della propria iconografia? Sono passati sessant’anni da quando Marcello Serra ha dato alle stampe “Sardegna, quasi un continente”, monumentale opera editoriale che ha tentato di raccontare, in circa ottocento fotografie a colori, l’isola e la sua cultura, e che oggi è stata ricordata in un incontro del Salone del libro di Torino. “Già il titolo impone una riflessione – ha spiegato Francesco Bachis, docente di antropologia culturale all’Università di Sassari -, perchè è volutamente ambiguo: da un lato identifica la Sardegna come un luogo plurale e ricco di una cultura peculiare, e dall’altra quel ‘quasi’ suggerisce l’ambizione di voler essere parte di quello che sta dall’altro lato del mare”. E che i sardi storicamente chiamano proprio “il continente”. Simbolo di un’italianità che, come diceva Emilio Lussu, si è formata tra le trincee della Prima Guerra Mondiale, quando migliaia di sardi lasciarono l’isola per combattere sotto il tricolore.

“Forse il libro di Serra andrebbe messo all’indice o bruciato – ha provocatoriamente evidenziato Salvatore Ligios, fotografo e docente di storia della fotografia -, perché da quella pubblicazione sono nati i mostri del tempo che smette di passare”. Ligios mostra la copertina di una recente pubblicazione sulla Sardegna, nella quale sono rappresentati due figuranti con i costumi tipici: “È come se si fosse fissata un’iconografia dalla quale non vogliamo liberarci,  rimanendo intrappolati in un presepe che non dà conto degli anni di progressi e innovazione che pure si potrebbero raccontare dell’isola, come per esempio il fatto che abbiamo portato Internet in Italia”.  La tradizione e la cultura a volte si trasformano in folklore, svuotando di significato ciò che prima ce l’aveva: “Serra fa una scelta coraggiosa dal punto di vista editoriale: un enorme volume interamente a colori per l’epoca non era cosa da poco – riconosce Ligios -. E la scelta editoriale è chiara: l’autore ha operato una selezione precisa sulle foto e sulle didascalie, creando un prodotto commerciale, più che esclusivamente editoriale, nel quale è stato selezionato il meglio di ciò che poteva essere attraente”. E di cui oggi, concordano gli intervenuti all’incontro, si fatica a liberarsi.

Ma la Sardegna non è storicamente una terra chiusa e immobile, come ha ricordato Annamaria Baldussi, docente di Storia e Istituzioni dell’Asia ed esperta di migrazioni dell’Università di Cagliari: “Spesso i sardi leggono la propria insularità come ragione e giustificazione dell’isolamento. Ma la nostra storia racconta un’altra verità, fatta di scambi culturali e continue influenze. Il mare che ci bagna su ogni lato non è una barriera, ma un mezzo di comunicazione”.